Bresciaoggi, 4 marzo 2009

«Le "antiche" incisioni del giovane Mohlitz»

di Mauro Corradini

Articolo sulla mostra Philippe Mohlitz. Incisioni, Galleria dell'Incisione

È difficile che un giovane d’oggi, all’accademia o altrove, si dedichi all’incisione; non che manchino i bravi incisori, anche la nostra città ne annovera diversi; ma l’incisione è un’arte appartata, che pochi frequentano, anche se i cultori, di nicchia naturalmente, ci sono, e si appassionano, con lenti e ingrandimenti, per cogliere i segreti di una magia che riconduce l’artista all’alchimia, tra abilità e modificazioni, che danno nuovi volti alla realtà.
Per tutti gli appassionati, Brescia offre un appuntamento da non perdere: può bastare l’affermazione, che siamo di fronte al più significativo bulinista vivente? Con Philippe Mohlitz (Bordeaux 1941) la città ospita una delle figure, cui offrire omaggio; un mondo di visioni, tra un passato perduto nella memoria lontana e un futuro, immaginato distrutto da catastrofi poco naturali, in cui dominante è quest’omino senza qualità, ma dotato di un valore perverso.
Forse è anche per questo mondo pieno d’angoscia che, pur essendo riferimento ineludibile per tutta la calcografia di tradizione, Mohlitz non gode da noi della fama che meriterebbe. Mohlitz ama Dürer, affronta il mondo con un universo visionario che trova radici nell’irrazionalità di fine Ottocento, tra l’esotismo di un Moreau e la forza immaginativa di un Odilon Redon. Ha letto forse la miglior letteratura fantascientifica, quella che prevede «pessime sorti progressive» per il nostro mondo (cui purtroppo è difficile non dare ragione, se sconsolatamente leggiamo il panorama politico del nostro mondo), ha forse collocato l’uomo del conte di Lautréamont in un universo fantastico, tra passato mitologico e futuro impossibile.
E SU QUESTE concezioni catastrofiste costruisce il suo universo di immagini; tanto sono sconvolgenti e inquietanti le sue immagini «narrate», quanto è raffinato il suo segno, elaborato con una sapienza antica, anche tecnica e manuale, con quel bulino, che oggi, da ormai alcuni secoli, non si usa quasi più, troppo difficile, troppo lento.
È forse questa la seconda mostra in Italia; lo abbiamo ammirato, attraverso una quarantina di fogli, da Falteri a Firenze, quattro o cinque anni fa; lo ritroviamo oggi a Brescia; e che sia nato nella città, dove quasi due secoli fa è morto in esilio volontario Francisco Goya, può anche costituire un segno.
SEGNO DI UNA SAPIENZA che, nonostante tutto, rimane, anche se sono venute meno le grandi stamperie, se la modernità multimediale ha accelerato e moltiplicato all’infinito le produzioni; Mohlitz per costruire una piccola lastra impiega settimane, tensioni e lavoro di polso, occhio, mano: si legga la bella pagina di Zigaina, un incisore che non dispiacerebbe a Mohlitz, ne siamo certi, su come si incide. O si ricordi, quasi sconsolatamente, la verità che Baudelaire annunciava quasi ormai due secoli fa, quando avvisava gli amici acquafortisti, calcografi, che «una quota di impopolarità equivale a una consacrazione»: l’arte dell’incisione è una cultura di nicchia; non avrà mai, oggi, i clamori di un successo, giocato troppo spesso sulla meraviglia, sul battage pubblicitario, sui fenomeni sovente fuori dalla riflessione colta. Ma inseguire con gli occhi la magia dei segni di Mohlitz fa bene all’animo.

Mauro Corradini, Bresciaoggi, 4 marzo 2009

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