Giornale di Brescia, 1979

«Mostre d'arte: Bartolini, Mannocci, Luino, Luporini, Ferroni, Tonelli»

di Elvira Cassa Salvi

Articolo di Elvira Cassa Salvi

La mostra alla « Galleria dell'Incisione» di sei pittori di diversa età, in prevalenza maremmani o giù di lì (Luporini è di Viareggio, e così pure Giuseppe Bartolini e Lino Mannocci, Ferroni è di Livorno; ad essi s'aggiungono il bresciano Giorgio Tonelli e Bernardino Luino — nome fatale — ch'è di Latina) tale mostra è eccezionalmente omogenea fino al rischio della vera e propria univocità. Ha una cornice strana e tuttavia tipica, significativa: una specie di «manifesto» dei sei, esposto negli stessi locali della galleria, dice che i firmatari han preso la decisione di esporre insieme non per una visione del mondo sulla quale si trovino d'accordo, ma «per vicinanze tecnico-linguistiche, il che garantisce automaticamente una certa affinità anche nel modo di porsi davanti alle cose».

Ma sarebbero troppi gli esempi citabili di vicinanze tecnico-linguistiche che non garantiscono affatto affinità nel modo di porsi davanti alle cose; e proprio l'orizzonte iperrealistico in ampio senso offre esempi di disparatissime visioni del mondo. Questo anteporre il fattore linguistico al fattore ideologico è una moda neo-positivistica che può solo giustificarsi come manifestazione di pudore ideologico, di comprensibile tendenza all'impolitico, ecc. Ma il motivo per il quale accenniamo a questa cornice è un altro. La vicinanza tecnico-linguistica che i sei denunciano è « il desiderio di indagare sullo specifico (in questo caso litografico) per restituirgli una sua dignità autonoma », ciò « ci ha spinto a lavorare su pietra, tecnica ormai in disuso da molti anni». Eppure questo motivo di vicinanza viene citato per una mostra di quadri a olio, che con tutta evidenza, senza nessuna necessità di pensare alla litografia (caso mai, come diremo, alla fotografia) denunciano una omogeneità di intenti persino a volte imbarazzante (vedi per es. i letti disfatti).
Per restare sul terreno del linguaggio, in termini meno formali e per sé insignificanti, diremmo che il motivo unificante dei sei è costituito dal modo di porsi davanti a quella cosa che è la fotografia. Parlando di mostre fotografiche abbiam avuto modo di rilevare, di recente, che l'abituale rapporto che si usa stabilire tra fotografia e pittura va invertito. Non è la fotografia che condiziona la pittura, ma al contrario: la pittura, l'arte figurativa conferisce valore artistico a quella copia che è la fotografia, in quanto se ne impadronisce e la fa argomento e strumento del proprio operare. I « dagherrotipi » prendono significato artistico in quanto s'accostano, richiamano l'atmosfera impressionista e post-impressionista. Fotografie e montaggi d'oggi assumono significato artistico in quanto inadeguate analogie di ciò che può e sa fare l'arte d'oggi, dal dadaismo all'iperrealismo. Già questo realismo fotografico o litografico costituisce un motivo poetico, non semiotico e linguistico soltanto. Ma poi a saldare in più stretta unità questi artisti sta quel filtro di impalpabile magia metafisica che, d'altra parte, si radica proprio nel modo fotografico di porsi davanti alle cose (ma fotografico qui non significa, ripetiamo, desunto dalle fotografie, bensì prestato alla fotografia che da questo prestito trae un raggio di riflessa luce artistica).
Interni o esterni di una desolazione, di uno squallore glaciale, scrutati da un occhio nel quale la freddezza è solo tenerezza offesa, un occhio che si fissa su particolari, su oggetti minimi a rendere il clima della vita urbana d'oggi, nell'ambito della civiltà industriale.
Bartolini e Luporini ancora guardano alla natura, ma la loro visione è a sua volta fissata in una luce abbrividente, di crepuscolo o di presagio misterioso. Cieli grigi, immensi, incombono minacciosi anche se al disotto (vedi in Bartolini) si dispiega una vegetazione lussureggiante. Ma lassù in alto si libra, segno magico e infausto un dirigibile (forse ricordo analogico di Radziwill) e il contrasto risulta tanto più stridente. La pittura di Luporini — sempre coerente e fedele a se stesso — appare meno raggelata e un brivido di lirismo espressionistico la pervade ancora. Le sue visioni marine sono sempre più angoscianti, hanno una luce apocalittica e il colore s'incupisce via via fino passare nel buio manocromo.

Elvira Cassa Salvi, Giornale di Brescia, 1979

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