18 Novembre 1999
di Emilio Bertonati
Se si accettasse la teoria che l'arte, come è stato scritto, possa essere un "auberge espagnol" (così erano intense quelle locande che nell'ottocento non fornivano all'ospite che la nudità della stanza e nella quale pertanto ognuno portava ciò che aveva con sé), è fuori dubbio che la "stanza Richard Müller" si riempirebbe di colpo fino al soffitto per le reazioni che nascono in noi dalle suggestioni, i richiami, le assonanze, le anticipazioni provenienti da ogni sua opera.
In Richard Müller convivono due attenzioni diverse, ma stranamente non contrastanti: l'interesse per la realtà circostante (i poveri contadini della campagna tedesca, l'ambiente familiare) e quello per il mito (i tritoni trainati da delfini, il ratto d'Europa, ecc.).
Egli ci appare così come il crocevia obbligato in cui provenienze böckliniane e klingeriane maggiormente si puntualizzano o meglio si oggettivizzano.
È chiaro che se ancora nel famoso dipinto di Böcklin "Il centauro dal maniscalco" giustamente citato da De Chirico (1920) come l'esempio maggiore in cui il mito è rappresentato come reale e contingente, o nell'altra famosa opera di Klinger "Il centauro e le lavandaie" ancora qualche dubbio potrebbe derivare sulla fisica consistenza di ciò che è rappresentato, a Müller nulla sfugge, non un pelo, non un crine, non una piuma, non una verruca, né una varice. E qui che avviene primariamente quel processo della "Sachlichkeit" (e del resto egli fu maestro a Dresda di Dix e Grosz) per cui la coscienza del particolare (non meditazione lirica alla Thoma di ogni filo d'erba) è fredda, sadica introspezione, ed in cui, per ciò, con tutto il rispetto per la riconoscibilità dell'oggetto, il dettaglio e l'assieme spesso sono o lama o ferita, o spina o trafittura, molte volte poi contrapposti in una ineluttabile crudeltà a cui fa quasi sempre da sfondo una ben precisa allusione erotica.
Al nudo femminile si oppone il volatile (il marabù per i tedeschi è simbolo della saggezza, ma altrettanto è un animale immondo e maleodorante) oppure (come in un'altra incisione qui non riprodotta) un enorme, lascivo gambero. Ma se nel dipinto a cui senz'altro Müller si è ispirato, quello ben noto di Max Klinger ("Die Gesandtschaft") del 1882, Museo di Lipsia, (ad una bagnante distesa nuda sulla spiaggia si avvicina un flamingo che con aria gentile le sussurra qualcosa, mentre due marabù attendono impettiti non troppo vicini) calma e poetica è l'atmosfera, qui "Il pretendente" (vedi "La richiesta di matrimonio" del 1914) si è fatto "ardito" (1923) dopo nove anni di attesa è chiaramente deciso a passare all'azione (essendosi poi dalla rabbia ben mangiato anche il mazzo di rose) per non parlare poi di quando al marabù si sostituisce il formichiere.
Come non è possibile allora, per la donna col gambero, o per altre sue opere che si conoscono soltanto attraverso riproduzioni (una coppia nuda che sta per essere dilaniata da enormi camaleonti, ed ancora il contrasto della carne con la durezza degli artigli e delle cartilagini delle bestie e la costanza di questi contrasti) non immediatamente riferirsi al capolavoro di Scholz "Carne e acciaio"?Come per "I filosofi" (1918) non riferirsi al dipinto di Dix "Autoritratto con la modella con le braccia alzate" e lì la presenza di Dix vestito è tanto impietosa quanto quella dei "Filosofi" che scrutano con la lente il nudo femminile sotto una luce accecante?
E per i particolari repellenti (il topo e la talpa putrefatti) non ricordare i teschi della serie della guerra di Dix dalle cui vuote orbite fuoriescono vermi? O per i vecchi e le vecchie turpemente denudati non ricordare "La coppia incredibile" di Dix del 1923: un uomo e una donna ottuagenari nudi sul letto, o quei disegni di Grosz che dalla satira sociale passano a un ben chiaro "Memento mori"?
Mi si consenta di portare, secondo la teoria dell'"auberge espagnol", un mio personale materasso alla stanza Richard Müller: il tema del volatile (marabù) è una costante della sua opera, ne esistono centinaia di versioni. Richard Müller arriva a personalizzarlo: da "pretendente" diventa "consigliere segreto" (commendatore — Herr Geheimrat 1910), viene decorato e si fa fotografare in bella posa con le medaglie; fino a giungere, enormemente ingigantito, alla santificazione con tanto di aureola e insegne, nel 1919 (La grande bestia).
Dal 1921 Richard Miiller è ben noto in Germania, dato che nello stesso anno esce su di lui una lussuosa monografia con 175 illustrazioni di cui molte in quadricromia.
Che questo volatile, tanto lascivo quanto galante, tanto santo quanto commendatore non diventi poi il famoso "Loplop, il re degli uccelli" di Max Ernst? Oppure che "La grande bestia" diventi poi il verdastro mostruoso volatile ancora di Max Ernst "La levure du mal" ora al museo di Berlino?...
Da Emilio Bertonati, R. M. Richard Miiller, catalogo della mostra, Galleria del Levante, Milano 1974