1 Aprile 1997
di Marco Ciampolini
Gran parte degli artisti contemporanei sembrano interessati alla produzione di opere sempre più anticonformiste e antitradizionali. Per capirle e decifrarle anche l’osservatore più preparato necessita della “spiegazione” dell’autore o del suo critico ufficiale. Il lavoro dell’artista viene spesso ridotto al semplice gesto. Cordelia von den Steinen ci offre, diversamente, una scultura a noi familiare, che si esprime attraverso forme figurative derivanti dalla tradizione antica e dal Novecento. In queste sculture, spesso montate in più pezzi con giunti situati dove meno disturbano l’osservatore, proprio come nelle maioliche dei Della Robbia, si nota un mestiere che solo una grande esperienza artigianale può offrire. Ma non basta, quel che conta è che le espressioni artistiche di Cordelia von den Steinen sono realizzate con grande amore. Ed è lo stesso sentimento che accompagna ogni sua azione, anche la più semplice, la più quotidiana, come il cucinare, o il modo di imbandire la tavola, con un ricercatissimo accordo di colori e forma: i limoni gialli sulla tovaglia azzurra, le mele rubizze e i tovaglioli verdi sul fondo rosso. Ogni gesto della vita ha per Cordelia un valore profondo. La sua scultura anzi ci insegna che proprio le azioni più comuni, per la loro ritualità, per la spontaneità, stimolano le più profonde meditazioni.
Attraverso un linguaggio artistico semplice, di grande immediatezza, Cordelia ci presenta il teatro della nostra vita, mettendone, ad esempio, a nudo i suoi risvolti più inquietanti. Così la scultura che ritrae un gruppo di uomini seduti su un divano nell’atto di telefonare rappresenta una scena fra le più comuni di oggi. Le persone sono una accanto all’altra, sono vicine al punto di urtarsi, ma non hanno rapporti fra di loro. Il telefono, cioè la macchina in grado di farli conversare con qualsiasi parte del mondo, li ha paradossalmente isolati. Una scena qualunque è divenuta il mezzo per esprimere uno dei grandi problemi della civiltà contemporanea: l’incomunicabilità. Un bassorilievo mostra uno schermo televisivo con tanto di immagine, la testa di una persona, forse quella di uno dei tanti cronisti che affollano i programmi teletrasmessi. Non si tratta qui dell’isolamento, ma dell’autentico dramma dell’uomo completamente succube e quindi prigioniero della televisione, una delle macchine più coinvolgenti che ha creato. La von den Steinen non si limita ad una critica passiva, ma ci fa capire che la negatività di questi strumenti dipende solo dal cattivo uso che ne fa l’uomo, il quale non li domina ma li contempla, ne asseconda il loro potere produttivo. Così la macchina simbolo della capacità di riprodurre, ma non di creare, di questa civiltà, la fotocopiatrice, in una scultura di Cordelia, partorisce, con lentezza, cioè con un ritmo umano, un lungo cartiglio sostenuto elegantemente da una fanciulla, dove è trascritto un testo altamente poetico.
L’arte di Cordelia von den Steinen non si esaurisce nella denuncia della società contemporanea e dei suoi simboli. Come abbiamo detto la sua arte nasce da un profondo amore per la semplicità del quotidiano. La fanciulla che affetta il pane compie un’azione comune, ma Cordelia ha concepito la piccola figura come un eroe che sta compiendo un gesto dal valore assoluto. E ritorniamo alla mente gli antichi Egizi e gli Etruschi, due popoli che hanno dato al quotidiano un valore così alto da concepire le loro sepolture come autentiche case, spesso decorate con raffigurazioni delle loro attività, e sempre riempite di oggetti d’uso.
Il rapporto fra la poetica della von den Steinen e quella di queste antiche civiltà, non si esaurisce nella predilezione per i soggetti di vita quotidiana. In alcune sculture troviamo, accanto a personaggi del nostro tempo, figure emblematiche care alle rappresentazioni artistiche di quei popoli. Nella rappresentazione di un viaggio in treno, alcune persone siedono accanto ad una sfinge. La convivenza sembra tranquilla, ma quella figura è il simbolo del mistero, dell’inatteso, dimostra che una situazione tranquilla può avere uno svolgimento imprevisto.
Non è questo l’unico caso in cui sfingi e chimere compaiono nelle sculture di Cordelia. Non importa elencare le opere, serve solo ricordare che l’uso di quei simboli nelle sculture delle von den Steinen, costituisce uno dei più originali e intelligenti utilizzi di antiche figure nell’arte contemporanea.
Il mistero, l’inatteso, la sorpresa sono temi ricorrenti nell’arte di Cordelia, che troviamo trattati anche senza l’ausilio di “esseri enigmatici”. Una figura a mezzo busto sostiene di fronte alla testa una maschera, ma non rivela il suo volto, perché questo è celato da un’altra maschera. È questa scultura quasi un monito al non fidarsi, un manifesto all’impenetrabilità di certe persone, alla loro falsità o alla loro abilità nel nascondere, nel confondere, nel non rilevarsi. L’imprevedibile è spesso sottilmente trattato da Cordelia anche in sculture che hanno per tema la porta. Non si tratta di semplici architetture, ma di opere figurate dove persone entrano od escono da un ambiente. Chi oltrepassa una porta spesso non sa cosa lo attende. Può entrare in un sito che lo accoglie, lo conforta, ma può anche ritrovarsi in una situazione non gradita, spiacevole: può trovare la gioia, ma anche il dolore. Eppure la porta esercita una forte attrazione, l’uomo è sempre spinto ad oltrepassarla, qualunque cosa vi sia dietro, e ciò per la voglia di avventura, per la sete della conoscenza. Sono questi i due venti che spingono il progresso dell’uomo, il suo cammino: e le originali ed affascinanti sculture raffiguranti una persona che percorre un puzzle sollevandone i pezzi ricordano ancora quanto questo cammino sia enigmatico.
Quella di Cordelia è insomma un’indagine sulla vita di tutti giorni, il forte realismo della sua scultura descrive con una evidenza sconcertante i gravi problemi della società contemporanea, nonché l’imponderabile e affascinante mistero che circonda la nostra esistenza. Queste opere di Cordelia sono in terracotta al naturale, mi piacerebbe vederle dipinte, per fargli acquistare, se possibile, un maggior potere evocativo. Parlare oggi di sculture policrome sembra quasi una bestemmia. Ma in passato, almeno fino al Cinquecento, le statue erano prevalentemente dipinte, ed opere in legno e creta, prive di colori erano inconcepibili. Si dava anzi alla pittura di un’opera un valore pari a quello della sua modellazione, basti a dimostrarlo l’esempio sublime dell’Annunciazione lignea della Collegiata di S. Gimignano, che reca le firme dello scultore Jacopo Della Quercia e del pittore Martino di Bartolommeo.
Marco Ciampolini, aprile 1997
Il testo è pubblicato in Cordelia von den Steinen. Terrecotte, catalogo della mostra, Galleria dell'Incisione, Brescia 1997