5 Giugno 2020
di Giorgio Maria Griffa
Nel corso della mostra Cetacea 2 (dal 30 maggio al 15 luglio 2020) i visitatori hanno potuto rivolgere a Giorgio Maria Griffa domande sulle sue opere a cui lui ha risposto per iscritto.
Prima di iniziare il lavoro uso un prodotto (vedi la risposta alla domanda "Come fai a fare il bianco sul nero con gli acquerelli?”) che si chiama in genere masking fluid,Però, considerata la finezza delle linee, in questo caso adopero una tradizionale penna con pennino per tracciarle. Le cancellerò alla fine con una gomma morbida.
Ho visto delle foto di queste due balene, non ricordo dove, che per creare l’illusione che stiano volando le hanno sì messe a 8/10 metri da terra ma tenute lassù da brutti pali belli grossi, che tolgono tutta l’illusione del volo. Così ho pensato di liberarle dai piloni: ora volteggiano tranquille...
Il corvo.
Dipende dalle dimensioni del foglio che ho deciso di usare: grande foglio, grande balena.
Dopo il mio primo acquarello, questo, ne ho dipinti altri 2500. Non so quante balene però. Hai ragione, oggi comincio a contare le scansioni.
Una spiegazione banale ma autentica è la seguente: do “due mani” di nero... Il nero è il Lunar Black di Daniel Smith.
C’è un prodotto, ma tutte le ditte che preparano gli acquarelli vendono un un liquido simile, che serve per mascherare le zone che vuoi lasciare bianche. Non devono essere troppo grandi, però. Col pennello passi questo liquido gommoso dove hai bisogno che quello spazio resti bianco. Lasci asciugare bene e poi inizi a dipingere il tuo acquarello. Questo liquido non si scioglie con l’acqua, così quando hai finito il tuo lavoro, ben bene asciutto, passi con un gomma morbida sui punti che avevi coperto con il liquido gommoso. Ed ecco apparire, bianche, le parti che avevi protetto col fluido.
Perché il pigmento nero che uso abitualmente mi permette effetti che con gli altri neri non riesco a ottenere.
Nel caso ci fossimo dimenticati... La tassonomia è la disciplina che si occupa della classificazione gerarchica di esseri siano viventi o anche inanimati.
Poso il foglio su una tavola leggera ma resistente e ne alzo un lato con una una piccola catasta di libri alta un 30 cm circa. Così la tavola con sopra il foglio è abbastanza inclinato. Poi con un vecchio contenitore Glassex pieno d’acqua spruzzo, partendo dall’alto, la parte del foglio che mi interessa dopo aver protetto le altre parti con nastro adesivo speciale. L'acqua scenderà, scivolando lungo il foglio. Ora con un pennello Hake, grondante nero, lascio cadere il nero, cominciando dall’alto, sul foglio, mentre l’acqua scende lungo il piano inclinato. Da qui tutto può accadere. Con il pennello muovo il nero che scende fino alla base del foglio mescolandosi con l’acqua. Lascio che le cose seguano il loro corso per un paio di minuti, spruzzando ogni tanto dell’acqua dal Glassex e poi esco dalla stanza. Tornerò quando tutto sarà asciutto per vedere se la manovra è riuscita o si deve rifare tutto.
2° sec. A.C. In Cina già usano la carta. Dall’Oriente tramite gli arabi arriva in Spagna poi in Sicilia. In Italia troviamo una cartiera a Bologna prima del 1200.
Queste poche e poco precise righe si riferiscono a carta fatta a mano da bravissimi cartai ancora con l’aiuto di macchine inventate intorno al '700.
Quella che uso viene dall’India ma mi serve solo per alcuni lavori meno precisi, più liberi.
Di solito adopero carte fatte a mano-macchina come Arches o Fabriano che ripetono la tecnica della carta a mano però con macchine che possono realizzarne quantità maggiori.
Ormai la qualità di queste carte è altissima.
Le balene sono dipinte su fogli di carta prodotti da cartiere a mano-macchina e il risultato lo vedete.
Cosa si usa per ottenere un foglio di carta?
Stracci di cotone, lino, canapa, iuta.
Dopo una prima cernita, vengono tagliati in piccoli pezzetti, quindi ‘cotti’ in presenza di soluzioni diluite di alcali (calce, soda ecc.) che agiscono da sgrassanti e da decoloranti.
Il prodotto della cottura a questo punto viene sfilacciato in acqua dalle famose “macchine olandesi”.
La forza motrice, un tempo, era data da una ruota da mulino. I Moulins à Papier.
Oggi ci sono decine di Moulins à Papier in Europa che producono totalmente a mano delle ottime carte per artisti.
Le fibre devono essere 'fibrillabili', in grado cioè di formare un foglio per effetto dell’autocoesione.
Per fare un foglio di carta occorre che le fibre cambino il loro stato e le loro qualità, bisogna che con l’acqua diventino un impasto liquido.
In questa sostanza semiliquida, nel procedimento a mano, viene immersa la "forma", una sorta di setaccio, poi lo si estrae scuotendolo piano lateralmente ed avanti e indietro.
Da questo momento inizia a formarsi il foglio di carta.
Sono la forma e le dimensioni del setaccio a determinare il formato del foglio.
Quando l’impasto liquido viene scolato, il legame tra le fibre si deve proprio alla presenza delle fibrille, che, come piccoli tentacoli, si afferrano strettamente alle fibrille vicine. Un livello ancora più invisibile mostrerebbe un processo elettrochimico in cui intervengono legami di idrogeno.
Il setaccio scola via l’eccesso ma quel che rimane è un foglio di carta ancora gonfio d’acqua che, a questo punto, viene depositato, a faccia in giù, su un feltro. Queste operazioni richiedono un'abilità straordinaria e vengono eseguite da due persone: il primo immerge la forma, diciamo il setaccio, nell’impasto, la solleva, la scuote leggermente e poi la passa al secondo che, afferratola con una tecnica e un movimento speciale, posa il foglio sul feltro.
Dunque, ciò che dà il tocco, che conferisce alla superficie di un foglio la sua propria ruvidezza è il feltro.
La grana più grossa si definisce Rough, ruvido, in cui è solo il feltro a creare questo effetto, lasciando alle fibre il tocco naturale, non modificato da nulla. La superficie del foglio, così, è il “ricordo” del suo contatto con il feltro.
Ed ecco, per risponderti, i tre tipi di carta a tua disposizione:
Carta satinata o pressata a caldo o “hot pressed” o HP
Con il termine “carta pressata a caldo” si indica un particolare passaggio del processo di produzione della carta per acquerello.
Durante la fase in cui la polpa viene stesa e distribuita per creare i fogli, i rulli utilizzati vengono scaldati e comprimono ad alta pressione l’impasto.
Questo produce una carta liscia, senza irregolarità sulla superficie dovute alla presenza di fibre.
Carta a grana fine o pressata a freddo o NOT
Nel caso della carta pressata a freddo, i rulli utilizzati per la stesura dell’impasto e della creazione dei fogli hanno una bassa temperatura e quindi la superficie non viene alterata come nella carta satinata.
I rulli utilizzati sono ricoperti di feltro. La pressione applicata sull’impasto e il processo di asciugatura determinano la granularità del risultato finale, che viene definito generalmente a grana fine.
Carta a grana grossa o ruvida o Rough
La carta a grana grossa è quella che presenta la superfice più irregolare e dove sono ben visibili le fibre di cotone utilizzate.
L’impasto viene preparato nella forma e misura di foglio desiderato e viene steso per rendere la distribuzione della polpa omogenea.
In questo caso però l’asciugatura non viene effettuata attraverso macchine, ma la carta viene lasciata asciugare all’aria e questo processo non altera le fibre di cotone presenti sulla parte superficiale del foglio.
Le isole Tonga sono uno dei più famosi luoghi in cui si nuota accanto a grandi cetacei, si può grattare il loro grande muso, si fanno splendide fotografie sottomarine di Humpback Whales. Se pensate che i miei lavori siano frutto di abili scatti, siete lontani dal vero quanto le Tonga.
Fino a quando ho potuto viaggiare ho usato le mie foto come soggetti (www.griffa.com).
A quel tempo il mio interesse per i cetacei era, per così dire, discontinuo.
Ricordo di esser passato per Guerrero Negro, in Bassa California, più di trent’anni fa. Allora era “il posto” delle balene. Oggi ve le portano in camera. Non mi fermai anche se sapevo del “giro”.
Il “giro” delle balene è: Messico - si fanno ingravidare - vanno in Alaska a mangiare - tornano giù per partorire. Quindi un anno si accoppiano e quello dopo partoriscono.
Il maggiolino azzurro corre nella calura oltre Guerrero Negro e la mia testa con lui.
Anche in Antartide, le molli pinne dorsali piegate in giù delle piccole balenottere minori non mi prendevano ancora. Le vedevo passare in mare ma non mi facevano pensare a degli acquarelli.
Le balene sono fantastiche solo sottacqua.
Poi Terranova o Labrador oppure a sud con la inevitabile penisola di Valdez. Ricordo di aver passato una giornata accatastato su un barco con decine di turisti. Credo il solo senza fotocamera.
Penso che il viaggio all’isola di sant’Elena e i primi tremori alla mano destra nel 2007 abbiano segnato il “limen”.
Passarono anni di nulla. Dipingevo corvi neri, uccellini australiani e musi di cani.
Per rispondere alla tua domanda, scusa la digressione, poi ho cominciato a disegnare balene. Certo non potevo immergere il mio fisico danneggiato accanto al loro grande animo ma potevo cercare tutto sui Grandi Leviatani.
Ho provato a muoverli cambiando trasparenze, contrasti, tonalità, sostituzione colori. Insomma ne modificavo l’aspetto a mio piacimento. E poi ho dipinto un centinaio di cetacei.
Ho spesso copiato lavori di altri acquarellisti per scoprire qualche “trick” che, essendo autodidatta, mi è stato sempre molto utile. Ho anche rifatto, ad acquarello, un famoso olio di Jean-Léon Gérôme (1824 -1904) Bonaparte devant le Sphinx, che ora è appeso a una parete, l’originale, dell’assurdo Hearst Castle, in California, a San Luis Obispo.
Il quadro di Gérôme raffigura il futuro imperatore a cavallo davanti al mostro androcèfalo in atteggiamento di sfida mentre nella mia umile copia ho ritagliato e incollato una figurina del Général Bonaparte più modestamente a piedi.
Jean-Léon Gérôme, Napoleon before the Sphinx
Giorgio Maria Griffa, Napoleon (sans cheval) before the Sphinx da Jean-Léon Gérôme
Sono andato qui, sono andato là.
Ma non sono mai stato in Egitto, per esempio.
Non sono mai stato in Egitto perché volevo vedere la sabbia.
La sabbia di una volta. Quella che copriva quasi tutto. La sabbia da cui uscivano colossali fiori di loto, alti come alberi maestri o foglie di papiro grandi come il cofano di un maggiolino VW. L’hanno spalata via. Ora i templi sono dei ruderi ancora impressionanti ma con frecce, avvisi e proibito fare questo o quello ovunque.
Allora l’ho dipinta la sabbia.
Ho dipinto l’Egitto basando i miei acquarelli su lavori di artisti abbastanza bravi, Augustus O. Lamplough, inglese, 1877-1930 o molto bravi, David Roberts, scozzese, 1827-1864, così, per vedere l’effetto che fa.
Giorgio Maria Griffa, Gli Aghi di Cleopatra, da David Roberts
Giorgio Maria Griffa, Rovine del tempio di KOM OMBO da David Roberts
Giorgio Maria Griffa, Men riding a camel in the desert during a sand storm, da Augustus O. Lamplough
Giorgio Maria Griffa, An Arab on a camel da Augustus O. Lamplough
Giorgio Maria Griffa, An Arab on a camel surveying the desert at dusk, da Augustus O.Lamplough
A proposito di trucchi usati dagli artisti, eccone un paio, senza scomodare la “camera oscura” del grande Vermeer.
Matita, carta o tela, disegno e poi colore. Così, chi guarda un quadro, immagina che vadano le cose ma se avete visto I misteri del giardino di Compton House (The Draughtsman's Contract), un film del 1982 diretto da Peter Greenaway, non potete dimenticare la “griglia” che Mr Neville, il paesaggista assunto da Mrs. Herbert, moglie di un ricco proprietario terriero, usa — il film è ambientato nel 1694 — come aiuto nel disegnare correttamente la prospettiva.
Invece il sopracitato David Roberts utilizzava una "camera chiara”, o “camera lucida”, strumento che tramite un prisma permette di vedere sovrapposti a un foglio da disegno i contorni di un qualsiasi oggetto in modo da poterli ricalcare.
La “camera chiara” sovrappone otticamente l'immagine da ritrarre sulla superficie su cui si sta disegnando. L'artista può vedere contemporaneamente sia la scena che la superficie del disegno.
E infine:
Da STORIE magazine, rivista internazionale di cultura, Shenzhen, Cina: il villaggio dei copisti, di Gabriella Montanari:
Situato nel distretto Longgang di Shenzhen,a nord di Hong Kong, il Dafen Oil Painting Village si estende su un'area di 400 mila metri quadrati e ospita circa 7000 artisti, 300 residenti e oltre 1200 gallerie. Dafen cominciò a delinearsi come colonia di artisti nel 1989 su iniziativa di un pittore di Hong Kong attratto dai prezzi bassi della zona e dalla sua vicinanza alla città. L'anno successivo aprirono molte nuove gallerie e nel 1998 arrivarono anche i primi finanziamenti dal governo locale.
Tutto è predisposto e finalizzato alla creazione e alla vendita giornaliera di centinaia di copie di dipinti dei grandi maestri. Partono, per lo più, verso i mercati occidentali, destinate alle pareti di camere d'albergo, ristoranti e uffici.
Ad ogni operaio specializzato spetta una postazione ben precisa davanti alle tele inchiodate al muro (non che siano sensibili alla deforestazione, semplicemente i cavalletti di legno costano troppo).
Per poche centinaia di yuan si può ripartire da quell'universo di epigoni con sotto braccio una riproduzione da fare invidia all'originale e in testa il delirante progetto di costituire una collezione di copie..
Gli artisti di Dafen ci tengono a precisare che eseguono copie e non falsi, in quanto non le spacciano per originali né riportano in calce la firma contraffatta dell'autore. Davanti alle perplessità degli acquirenti occidentali, ligi al rispetto della politica anti-fake, raccontano che nel loro paese copiare è considerata da sempre un'attività nobile e che l'imitazione dei maestri è la strada verso il loro superamento. Poi tirano fuori la storia dei Romani che copiavano le statue greche e alla fine citano per filo e per segno la legislazione cinese secondo la quale un'opera che ha più di settant’anni non è più protetta dal diritto d'autore.