Giornale di Brescia, 4 ottobre 2009
di Fausto Lorenzi
La Galleria dell’Incisione, in via Bezzecca 4 a Brescia, ha aperto ieri una mostra raffinatissima: «Fausto Melotti. Carte uniche e rare». Melotti - studi matematici a Pisa, laurea in ingegneria elettrotecnica al Politecnico di Milano, diploma a Brera nel 1928 con lo scultore Wildt, pittore, scultore, musicista, poeta, architetto plastico con gli architetti razionalisti Figini e Pollini e con Giò Ponti - nacque a Rovereto nel 1901 e morì a Milano nel 1986. È stato uno dei grandi maestri del nostro ’900, sul fronte d’un sovrano equilibrio e d’una aerea leggerezza. La mostra, che resterà aperta fino al 30/11 (ore 17-20. chiuso lun., tel. 030-304690), presenta incisioni acquerellate (dalla stamperia milanese di Franco Sciardelli, che stampò per Melotti fin dagli esordi incisori dell’artista nel 1969), e una decina di tecniche miste inedite, di varia dimensione, tra il 1965 e il 1986. Completano la mostra testimonianze fotografiche del lavoro di Melotti che portano la firma di Ugo Mulas e di Ferdinando Scianna. Se pensiamo ai suoi pendoli tripli, alle sue bobine elettriche, ai suoi disegni di bipoli elettrici, siamo portati a credere che Melotti abbia tradotto principi e schemi scientifici in arte, con forti componenti mmotorie e costruttiviste, ma egli fu
piuttosto un idealista neoplatonico, innamorato dei canoni armonici del tempio greco, e negli Anni Trenta scrisse che «l’arte è uno stato d’animo geometrico e angelico». Ma disse anche che «l’arte non ha bisogno della materia» al punto da creare sculture di fili metallici, palline, reti, che paiono disegni incarnati, o partiture musicali basate sul contrappunto e l’arte della fuga. Ma adoperava il marmo, il legno, il bronzo, l’oro, la ceramica, la carta, il tessuto.
Anche tecniche miste e incisioni acquerellate confermano il duplice indirizzo della sua ricerca artistica: quello del rigore musicale-matematico, alla ricerca di forme sottilissime, al limite dell’antimateria; e quello del gioco alchemico e avventuroso, dell’azzardo, legato a un concetto di spazio-tempo fluido, in nome di un’arte che non invadesse lo spazio, ma lo modulasse con «fughe» di forme in bilico, anche in equilibrio precario e periclitante, come scivolassero in una regione ambigua tra il calcolo e il sogno. E non mancano anche nella grafi- ca i teatrini giocosi, cellette e formelle per inscenare racconti fantastici, che lui chiamava «lieder», canzoni. Monumenti al nulla, ma in realtà figure di un enigma esistenziale e cosmico, d’una vita che «come classica sonata - diceva - termina con un tempo veloce».
Tutto è ridotto alla traccia, ai minimi termini, all’essenziale, a dire che l’esistenza è soggetta a leggi fragili, in bilico, a demonietti impazziti che si prendono gioco del mondo. Sotto, il sentimento della melanconia: «La melanconia - scrisse - è l’anima stessa dell’opera d’arte, perché testimonia la nostra perduta armonia». Frammenti melodici che ben sapevano di non poter evadere lo spazio, e il filo della vita.Fausto Lorenzi, Giornale di Brescia, 4 ottobre 2009