14 Marzo 2006
di Ferdinando Scianna
C’è una domanda che inevitabilmente ritorna nell’affrontare l’opera fotografica, affascinante, ma per me anche enigmatica, di Florence Henri. E la domanda è: perché soltanto un decennio? In effetti è dentro un periodo di poco più di dieci anni, dal 1927 al 1940, che Florence Henri ha realizzato le fotografie che costituiscono il corpus, variegato, poliedrico, ma comunque impressionante per qualità, fra quelli usciti dall’esperienza culturale delle avanguardie artistiche del ventesimo secolo.
Alla cosiddetta grande guerra, immane catastrofe storica, umana, sociale che sconvolse l’Europa, seguì un periodo fervido di idee e di utopie che animarono le menti ardite di tanti uomini e donne che dopo quella catastrofe sentivano l’esigenza di radicali cambiamenti del pensiero, delle relazioni tra gli uomini, della vita stessa. Gli artisti furono in prima linea, all’avanguardia appunto, di movimenti che chiedevano alla cultura un ruolo di trasformazione del mondo a partire dalle forme, dalle tecniche stesse della modernità, che da strumenti della “riproduzione” della realtà, per citare Moholy Nagy, dovevano diventare strumenti di “produzione” del nuovo paesaggio storico e culturale. In questa prospettiva la fotografia fu vista come uno degli strumenti privilegiati di questo processo inteso come rivoluzione estetica globale.
Il decennio delle fotografie di Florence Henri si colloca dentro questo fervore, questa utopia. Ma quel dopoguerra era, si scoprì presto, un altro anteguerra. Al tempo delle rivoluzioni seguì quello tremendo dei genocidi, di Auschwitz, di Hiroshima, il tempo delle sconfitte.Dopo il 1940 Florence Henri non ha più fatto fotografie. O, per meglio dire, ha continuato a farne, ma erano diverse, lei stessa, forse, le considerava opere “alimentari”. Nelle sue varie deambulazioni se le è lasciate alle spalle, quando non ne ha cancellato la traccia, distruggendole. Nel 1943 Florence Henri aveva cinquant’anni. Era nel pieno dell’energia fisica e creativa. L’aspettavano ancora quasi altrettanti anni di vita e di lavoro artistico e professionale prima della sua morte nel 1982. Con le sue fotografie aveva ottenuto fama e grandi riconoscimenti critici. Eppure non è più tornata a farne sulla stessa linea e al livello di qualità di quelle che aveva realizzato in quei dieci anni. Sulla sua opera di fotografa cala il silenzio e l’oblio. Il suo e quello degli altri.
Bisognerà aspettare il 1967 perché Romeo Martinez si ricordi di lei dedicandole un portfolio sulla rivista Camera. Lo sottolineo con l’affetto e il rimpianto per un grande amico. E magari sarà stato impreciso nel ricostruirne il percorso artistico biografico, ma che memoria storica e che senso della qualità! Tanto più meritorio se si considera che Giovanni Battista Martini e Alberto Ronchetti hanno dedicato anni di appassionato e certosino entusiasmo e poi di amicizia per ricostruire una vicenda artistica e culturale e raccogliere immagini che grazie a loro abbiamo il privilegio di conoscere e ammirare.
Nelle fotografie di Florence Henri riconosciamo la presenza attiva di molte idee che fermentavano tra le avanguardie artistiche di quegli anni, dalla riflessione musicale al purismo, al futurismo italiano e russo, dal surrealismo al costruttivismo, al Bauhaus. I suoi ritratti di molte personalità artistiche di cui fu allieva e amica confermano che non di echi di una comprimaria qui parliamo, ma dell’opera di una protagonista.
Certo, la mia concezione della peculiare importanza della fotografia nella vicenda culturale del ventesimo secolo fa rivolgere le mie preferenze piuttosto verso l’altro versante della pratica fotografica, quello che privilegia il valore di racconto, di traccia del mondo, di intuizione, di folgorazione nel riconoscimento di istanti di vita, reali, surreali, che la fotografia, vero linguaggio della modernità, ha introdotto in modo rivoluzionario nel panorama culturale dell’uomo contemporaneo. Immagini “inventate”, etimologicamente trovate, più che immagini costruite come gioco di forme. Una tradizione, questa, che storicamente apparteneva, già prima della fotografia, ad altre esperienze delle arti. Ma in quest’altro versante Florence Henri è certo tra i pochi che hanno ottenuto originali risultati. Forse i ritratti di donne che la Galleria dell’Incisione ci propone sono tra le fotografie della Henri quelle che più mi convincono dal punto di vista strettamente fotografico. Al di là del sapiente e sperimentale approccio concettuale, che rifiuta ogni “psicologismo” e vuole trattare questi volti alla stessa stregua di architetture o di nature morte, in questi ritratti si impone il palpito della vita, che passa e di cui ci emoziona l’irripetibile istante.
Il tempo, propriamente, materia prima, ho sempre saputo, ben più dello spazio immobile, della fotografia.
Forse è proprio per questo - sono d’accordo con Arturo Carlo Quintavalle - che dopo quel fatidico 1940 Florence Henri smise di fare fotografie.
Il tempo, il tragico tempo della storia era tornato ancora una volta ad irrompere nel non utopico tempo della vita.
Ferdinando Scianna, maggio 2006
Il testo è pubblicato in Florence Henri e Martine Franck, catalogo della mostra, Galleria dell’Incisione, Brescia 2006