14 Gennaio 1996

Franz von Bayros

di Valerio Terraroli

Nel tumultuante paesaggio culturale della Vienna d’inizio secolo, da un lato affascinata e respinta dall’ardore nichilista del simbolismo estremo di Schiele, Kokoschka e Kubin e dall’altro attratta irresistibilmente dalle nervose e geometrizzanti composizioni di Klimt e di Moser, la figura dell’incisore, pittore e disegnatore Franz von Bayros si propone come un’opzione del tutto alternativa ai già segnati percorsi dell’arte sia accademica sia secessionista e d’avanguardia, alternativa però nel senso più elitario ed esclusivo e nella quale un disincantato erotismo si fonde con la più estenuata raffinatezza formale.

Le incisioni, le ben più note eliografie e eliotipie per volumi di argomento erotico e non, gli ex libris e i disegni, si segnalano per una coerente continuità stilistica nell’alveo del simbolismo, a partire dalle prime opere nel 1906 fino al 1921, che trova sostegno e conferma nel solco della produzione incisoria di Aubrey Beardsley e di Alphonse Mucha, ma che si appropria con tempestività, intelligenza e sapiente ironia delle novità iconografiche e stilistiche della Secessione austriaca e ceca, nonché dei primi segnali del gusto Art Déco, nei primi anni Venti.

La particolare predilezione per il bizzarro e il “capriccioso”, espressa attraverso una lenticolare e iperrealistica visione dei dettagli, del quotidiano, degli ambienti “alto borghesi”, sembrerebbe acquisita da von Bayros dal sangue dei genitori, uno spagnolo e una viennese, coltivata e cresciuta nel fervidissimo ambiente della capitale asburgica negli anni Ottanta dell’Ottocento, nella quale studia presso i corsi di Christian Griepenkerl all’Accademia di Belle Arti.

Nella capitale dell’impero ha l’opportunità, tra altre, di conoscere l’opera del ceco Alphonse Mucha, operoso a Vienna fino al 1881, ed entrare nel circolo di Johann Strauss sposandone in prime nozze la figlia Alice. Fin dagli esordi si specializza nell’ambito della grafica con la produzione di illustrazioni e di ex libris.

Tra le prime imprese va ricordata la serie intitolata Fleurettens Purpurschnecke (La chiocciola purpurea di Fleurette), pubblicata privatamente presso l’editore Stern a Vienna nel 1905, quale illustrazione ad una serie di canti e poemi erotici del secolo XVIII, a cura di Franciscus Amadeus, e prima pubblicazione della Società dei Bibliofili Austriaci. La giovane Fleurette, dal corpo florido e sensuale ma sempre esibito con l’ambiguo candore di una fanciulla, attraversa una serie di esperienze erotiche caratterizzate da ambientazioni e costumi di gusto settecentesco nei quali però vien meno il brioso dettato delle scene galanti di tradizione francese, da Fragonard a Boucher, per lasciare il posto ad una visione cinicamente ironica che documenta, attraverso raffinati dettagli, l’iniziazione di Fleurette. La qualità del segno è davvero straordinaria così come l’impaginazione compositiva che lascia grande spazio al fondo bianco, secondo modalità grafiche tipicamente secessioniste, e si muove secondo sinuose e avvolgenti linee continue e contrastanti motivi decorativi i quali evidentemente risentono della conoscenza da parte dell’artista della produzione grafica giapponese.

Significativa in questo senso è la scena XII, La testa, nella quale il nitore del corpo di Fleurette contrasta violentemente con il voluminoso tessuto della gonna scivolatale dai fianchi e la impalpabile coda bianca di un pavone, mentre la testa mozzata dell’amante, adagiata in un bacile ricolmo di fiori, viene impiegata in un gioco amoroso.

Nel 1906 vengono pubblicate presso lo stesso editore Die Bonbonniere (La bonboniera) e Le memorie di Fanny Hill di John Cleland, nelle quali il repertorio figurativo di von Bayros viene irregimentato in composizioni racchiuse in traforate cornici di gusto platealmente neorococò. La narrazione scorre come spiata attraverso finestrini aperti su alcove e boudoirs nei quali l’esercizio erotico si dipana tra sdilinquimenti e aggrovigliarsi di corpi uniti da quell’unica cifra stilistica che si identifica con lo stile “Luigi XV”.

Le cornici paiono dunque predominare con l’esplicito intento di far apparire le varie scene come exempla antimoralistici e contrari ad ogni pudore borghese: un catalogo dei “Modi” che trova esplicitazione diretta nel 1907 con la pubblicazione delle tavole dedicate alle Storie dell’Aretino, nelle quali un giapponismo filtrato attraverso il décor settecentesco è racchiuso in cornici architettoniche rigorosamente rinascimentali nell’impianto, ma immaginifiche nella decorazione che risente delle invenzioni della pittura pompier di Hans Makart e della tradizione accademica.

L’abitudine di von Bayros a stampare privatamente testi illustrati per una ristretta cerchia di ammiratori si esplicita, a partire dal 1907, nell’impiego dello pseudonimo Choisy le Conin con il quale firma la raccolta edita per Heinrich Conrad e i suoi amici intitolata Il Pantano, nel quale i giochi erotici si fanno ancor più complessi e fantasiosi e le composizioni, gli ambienti, gli scorci di paesaggio si arricchiscono di dettagli descrittivi e notazioni spesso stranianti e improbabili.

Ma è con gli Erzählungen am Toilettentische (Racconti al tavolo da toilette), di Max Semnerau e pubblicati nel 1907, che Franz von Bayros raggiunge la celebrità ed un più largo pubblico di collezionisti e ammiratori. Il suo linguaggio si è fatto ancora più raffinato e sottile muovendosi con eccezionale abilità grafica tra una grammatica esplicitamente neorococò, come nell’episodio de La tabacchiera, ed una composizione più serrata ed avvolgente secondo il linguaggio Art Nouveau, in Non spingete, ragazzi e Il messaggero, fino ad attingere direttamente alla fonte klimtiana e più genericamente alla cultura secessionista in Il tempio di Cotys nel quale compare una testa androgina che diventerà frequente nelle composizioni successive e perfettamente corrispondente all’immagine della donna-vampiro.

D’altro canto l’attenzione prestata già nelle prime composizioni alla disposizione e alle relazioni tra spazi bianchi e neri trova conferma in Tantalo e in Giove e Europa: non mancano mai tuttavia intendimenti decorativi dichiaratamente ispirati alla cultura estremo orientale dalle stoffe ricamate alle composizioni floreali secondo i dettami dell’Ikebana.

La notorietà spinge von Bayros ad impegnarsi sul fronte di imprese ben più complesse come l’illustrazione di capolavori della letteratura quali la traduzione de Il Decamerone (Berlino 1910) e Storie da Le Mille e una notte (Berlino 1913) senza abbandonare la produzione più strettamente legata a temi erotici come avviene per Quadri dalla stanza da bagno di Madame C.C., Vienna 1911, nel quale l’autore, appunto sotto lo pseudonimo Choisy le Conin, si identifica sub specie femminile, ovviamente androgina, e recita in episodi connotati via via da una sempre maggiore ferocia e da un sadismo così espliciti e allo stesso tempo così rarefatti e virtuali da raggiungere una totale purificazione simbolica come per la tavola raffigurante un coito tra una giovane donna e la mannaia che ha mozzato capo dell’amante (Finalmente il nostro sangue unito).

Tali invenzioni ritornano nella notevole produzione di ex libris come è testimoniato dalla raccolta Mappe III (München 1913) a cui appartiene, tra gli altri, l’ex libris Fürst W., nel quale una giovane donna con ricca acconciatura contemporanea cavalca nuda una scopa con un maiale, e quello di Alexander Dillmann con l’allegoria della Musica vengono proposte tipologie femminili alla Mucha.

Ma l’imagerie di von Bayros si muove con grande libertà dai temi erotici ai soggetti mistici dimostrando quanto erotismo e misticismo siano inseparabili, uniti come sono da un’unica insopprimibile carica vitale, da una ricerca di assoluto che si esplicita nei binomi antitetici di luce/oscurità, santità/perversione, espiazione/simbolo.

Nel 1921 viene edita a Vienna la Divina Commedia, con traduzione in tedesco a fronte, ricca di spunti e di interessanti soluzioni figurative ancora una volta nel segno di Mucha, di Klimt, di Moser, ma anche di Rops, di Klinger, di Kupka e di Böcklin; alcuni tagli da sottinsù, la forte vena narrativa, l’idea di contestualizzare volti contemporanei e corpi reali in ambientazioni fantastiche e in una natura sublime avvicina von Bayros a quel gusto tardo simbolista, fortemente eclettico, che trova una monumentale esemplificazione nella cultura italiana nell’entourage dannunziano e segnatamente nell’impresa dell’illustrazione della Divina Commedia di Amos Nattini.

Sempre nel 1921, tre anni prima della morte, viene pubblicata a Vienna una cartella di incisioni e eliotipie Bayros Mappe, con un’interessante introduzione di Rudolf Hans Bartsch, grande estimatore e conoscitore della produzione grafica dell’artista, intitolata Sinfonia della bontà, la bellezza è: un testamento spirituale e stilistico di notevole complessità che vede un percorso allegorico e fortemente evocativo prendere avvio dall’Incipit Redemptio, nella quale compare la figura di Prometeo, accolta tra le braccia di un Cristo assiso su altissime rupi, mentre l’aquila-carnefice inutilmente tenta di aggredirli, seguita da Natale nel quale un Bambino Gesù abbraccia un capriolo nella desolazione di una foresta abbattuta e priva di protezione, fino al Ciclo di guerra con l’immagine sintetica di Weddigen, l’eroe che annegando tra i flutti stringe ancora nella mano la spada sguainata, e La guardia dei Carpazi, chiara rielaborazione in chiave secessionista delle Sfingi di Gustave Moreau e della natura matrigna di Friedrich e di Böcklin.

Nel ciclo delle Fantasie fiorentine von Bayros denuncia le proprie preferenze per il grafismo botticelliano, che spesso ritorna anche in altre composizioni, filtrato attraverso la lente dell’avvolgente linea Art Nouveau e delle fantasie neomedievali di Burne Jones, nonché a certo neoellenismo alla von Stuck come dimostra il Ritratto della Marchesa von Bayros.

E scorrono le immagini di Salomè, ritratti di ballerine, il Minotauro, Mozart, la moglie di Putifarre, Dante fino a giungere alla Morte di Salomone: un vecchio cinereo sepolto da una catasta di giovani corpi femminili avvinghiati in un inestricabile nodo serpentino. Le prime avvisaglie di una mutazione di gusto, segnatamente Art Déco, si riconoscono in alcune di queste composizioni e in particolare nella Rivale dove una donna, bionda coi capelli à la garçonne, sdraiata su un triclinio e circondata da stilizzate pantere nere intente a leccare sangue, accoglie con sguardo gelido e felino uno schiavo di colore che le mostra la testa mozzata della rivale dalle lunghissime e tentacolari chiome rosse: ancora una volta il tema sensualità/morte si esprime attraverso una raffinatissima rappresentazione.

“Bayros è come il simbolo dell’Europa morente che si sbrana da sola”, afferma Bartsch nell’introduzione del 1921, ma è anche qualcosa di più: un razionale osservatore dei recessi occulti del desiderio, un cinico illuminista dei sensi come De Sade, un artista di grande raffinatezza formale e di profonda cultura, un orgoglioso solitario, indifferente all’impetuoso mutare degli eventi e alla tempesta delle avanguardie, che può dire seriamente di sé “Mon art c’est moi”.

Valerio Terraroli

Il testo è pubblicato in Franz Von Bayros, Galleria dell’Incisione, catalogo della mostra, Brescia 1996

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