2 Ottobre 2010
di Gianni Murtas
Una mostra composta in gran parte da lavori su carta potrebbe far pensare ad un percorso selettivo, orientato su un particolare versante tecnico o definito da un ordine prevalentemente cronologico. Nel nostro caso, però, possiamo subito dire che non è così. La ricerca di Maria Lai non si adatta né ad un taglio eminentemente tecnico, né ad uno strettamente cronologico; nel senso che nessuno dei due riesce a restituire la complessità di un modo di procedere piuttosto singolare. Un po' perché nelle sue opere gli ambiti tecnici mancano di una specificità assoluta, ma si alternano e si incrociano senza rigide contrapposizioni semantiche; un po' perché lo sviluppo del suo lavoro non ha mai avuto un andamento lineare, alternando scarti in avanti a continui ritorni, il percorso di Maria è diventato pian piano una sorta di itinerario tortuoso che procede ricombinando aspetti in origine distinti e riappropriandosi ciclicamente degli spunti narrativi che li hanno generati.
Cogliere questo carattere del suo operare, seguendo il riproporsi di soluzioni figurali e di varianti segniche nel mutare degli scenari, è fondamentale e la mostra ne sottolinea il carattere peculiare. Al di là delle suggestioni simboliche del titolo, omaggio a Giuseppe Dessì ma anche metafora di una dimensione fantastica quasi magica, essa, infatti, ripropone alcuni nodi centrali della ricerca dell'artista seguendone le interazioni in un ampio arco di tempo.
La prima cosa che emerge è che, pur cambiando tecniche e linguaggi, l'arte di Maria resta legatissima alle sue origini, articolandosi su una irrinunciabile dimensione esistenziale: i passaggi dal disegno al cucito e da questo alla terracotta o al collage, non alterano affatto il suo approccio creativo; come le rarefatte figure dei disegni gli spazi siderali delle geografie hanno origine da un immaginario che oscilla tra mito e storia, tra gioco e fiaba.Le tecniche vanno e vengono, si stratificano, e tuttavia mantengono una tensione esplorativa che le porta ad inevitabili sconfinamenti: ad un tratto il disegno non è più tale, la trama tessuta si fa materia, il collage volge in pittura.
E così pure i temi; c'è un momento in cui le figure di donna non appartengono più all'infanzia, che i pupi o gli animali di Maria Pietra non sono più fiaba. Lo spettatore può conoscere o meno tutti i passaggi, sapere o no che le figure provengono da un racconto o da un presepe, ma in ogni opera può riconoscere quel dialogo tra invenzione individuale e memoria collettiva, tra sperimentazione e rito, che ne è la vera cifra poetica.
Insomma, che lo faccia con una matita o con un filo, su carta o su tessuto, l'azione creativa di Maria vive su un crinale in perenne ridefinizione. Spesso i lavori nascono da opere precedenti, da riletture affidate al tempo dilatato del ricordo; e se è vero che prendono forma nel presente e in esso cercano nuovi significati, il rapporto col passato ne indirizza gli sviluppi, proponendosi come una narrazione ininterrotta, costruendo una storia nella storia.
Quello della narrazione è un altro aspetto fondamentale dell'arte di Maria Lai. Al di là delle vere e proprie fiabe molti dei suoi lavori evidenziano una ineliminabile propensione fabulatoria, e più di una volta si è detto che le sue opere soprattutto raccontano. Certo non in modo strettamente illustrativo, e nemmeno secondo le regole della narrazione tradizionale. Le sue opere raccontano nel senso che le immagini definiscono col pubblico una storia comune in cui evocazione simbolica e suggestione metaforica tendono a fondersi, e lo stesso narrare diventa parte di un rito collettivo che porta lo spettatore ad essere partecipe, a reagire empaticamente alle sollecitazioni.
Non c'è mostra di Maria dove non si abbia questa sensazione di memoria condivisa, dove non ci sia questo senso di sospensione tra passato e presente; e nel vagare da una immagine all'altra, da un punto all'altro del percorso, capita di domandarsi se il segno che sembra fare da filo conduttore appartiene alle prime emozioni creative, o ad una idea adulta che vede in esso le origini del pensiero dell'arte.
Gianni Murtas, settembre 2010
Il testo è pubblicato in Maria Lai. Le fate operose, catalogo della mostra, Galleria dell'Incisione, Brescia 2010