1 Marzo 1990

Giuseppe Gallizioli. Olî, pastelli e acquarelli (Presentazione)

di Valerio Terraroli

Sulla qualità simbolista e favolistica della pittura di Gallizioli già molti critici si sono espressi e queste brevi note non vogliono che sottolineare l'intima coerenza del percorso artistico dell'artista in una serie di opere realizzate negli ultimi due anni di attività. Nell'obbiettiva dif­ficoltà della critica contemporanea di istituire schemi culturali nei quali ricondurre l'estrema varietà delle espressioni artistiche, il parlare di un percorso artistico che giustifica sé stesso nell'intima coerenza del proprio lessico, nella tecnica sicura e nella deliberata scelta di non seguire mode contradditorie ma, al contrario, di appartarsi in un pro­prio universo naturale, permette al pubblico di conoscere un artista che dei temi naturali e delle evocazioni fantastiche ha fatto il proprio mondo espressivo. È una natura esente da preponderanti presenze umane, vuoi anche surreali, come erano in Incantesimo meridiano, Bagnante e Tigre con bagnante tutti del 1983, che viene rivissuta sulla tela attraverso la capziosità di una tecnica pittorica sontuosa e al tempo stesso tersa, aspra e lirica insieme. Le sensazioni che que­sto nuovo nucleo di opere stimola nello spettatore, giocano su un'ap­parente, quanto singolare, 'semplicità' e 'ingenuità' d'ispirazione che in verità si concretizzano in una meta raggiunta con un percorso ar­tistico che Gallizioli ha compiuto attraverso il surrealismo, il simboli­smo e un certo informale. Una semplicità, dunque, esperita ín una costante consentaneità con un ambiente naturale, a tratti dolce e in­timamente domestico, a tratti grandioso e selvaggio come nelle im­magini frastagliate delle coste jugoslave (Luce del mattino, 1987-1989 e Pescatore di San Martino, 1987-1989), care all'artista, che già ne proponeva le forme sublimi in Di primo mattino del 1984. La tecnica è divenuta il medium visivo e lirico di questa interpretazione panica del paesaggio con impasti formicolanti, non immemori di certo pointillisme post impressionista, e giocati con tonalità ambiguamente ri­chiamanti connotati 'impressionisti' e 'simbolisti', specie nei gialli di ogni tonalità, nei blu e nei verdi accostati, nei tagli meridiani della luce. Ma ecco che in più piccole tele, nei pastelli, negli acquarelli, la scelta dell'artista si orienta verso magici cieli stellati (Prima dell'al­ba, 1988), verso lagune vespertine e, ancor di più, indaga un mon­do naturale minuto, un angolo del giardino, un punto nello stagno domestico, ammorbidito e reso misterioso dalla luce crepuscolare del sottobosco. Dalla sacralità di una natura selvaggia e misteriosamen­te inquietante, all'intimità lirica e vitale dello Stagno con pesci rossi (1989) e del Rettile rosso (1990), Gallizioli ci consegna una visione del mondo che risulta indenne da forzature intellettuali e aulicamen­te colte, ma al contrario spontanea e curiosa, ogni volta pronta a co­gliere nel baluginio delle forme viventi un che di misterioso. La cu­riosità emozionata con la quale il pittore rivisita i temi tradizionali del­la figura, del paesaggio e, talvolta, del ritratto, gli permette di trasfi­gurare il soggetto in un sogno materializzatosi sulla tela (L'angelo pescatore, 1989 oppure In laguna, 1990), allontanandolo quindi dal pericolo di adagiarsi su una pittura facilmente piacevole e caratteriz­zata da un certo impressionismo materico vangoghiano. Al contra­rio ia piacevolezza, in accezione positiva, è caso mai negli accordi armonici delle cromie, in soggetti particolari (i gatti e i cani che si af­facciano fra il fogliame, i pesci, i pescatori, gli angeli), nell'armonia esistenziale che sembra legare paesaggi ed esseri viventi. Ma qui l'artista si ferma, lasciando spazio ad una sottile e inquieta malinco­nia, non risolta ma sospesa. Gli spazi, i tagli luminosi, la densità at­mosferica, la brillantezza pulviscolare della tavolozza concordano in­fatti nel presentarci ricordi e stralci di mondo isolati e apparentemente quieti, ma sempre in attesa di un evento, di un'apparizione, in una precarietà segreta che li trasformi e li rigeneri in un ciclo eterno e, pur tuttavia, ogni volta diverso e nuovo agli occhi di chi sa cogliere nei piccoli momenti la grandezza misteriosa e la forza evocatrice della natura.

Valerio Terraroli, marzo 1990

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