1 Novembre 1984

Giuseppe Gallizioli. Olî, pastelli e acquarelli (Presentazione)

di Rossana Bossaglia

Sulla caratterizzazione e qualità simbolista delle opere di Gallizioli vari critici sono intervenuti, con acutissime indagini cui v'è poco da aggiungere. Quelle che aggiungiamo qui, perciò, non sono considera­zioni diverse intorno a quanto egli ha dipinto finora: sono considera­zioni sulla sua recente attività, quella degli ultimi due anni, o ancora in atto.

Perché Gallizioli va avanti, mantenendo una coerenza di fisiono­mia che è segno di una personalità forte e consapevole, aliena da im­provvisazioni e sperimentalismi insicuri, ma nel contempo modifican­do gradatamente la maniera - nelle ultime opere più pastosa e scintil­lante, insieme più vibratile e sontuosa - e il rapporto del suo sguardo con le cose. Dice, insomma, cose nuove, non in contraddizione con il discorso precedente, ma orientate a comunicare riflessioni diverse.

Partiamo pure dal simbolismo. In senso lato e generico, un artista è in quanto tale simbolista, se non altro per la ricchezza di valenze del­le sue immagini, che non sono mai soltanto rappresentazione, o non soltanto rappresentazione diretta e univoca. Ma se i commentatori han­no insistito sul simbolismo di Gallizioli, è perché nel suo caso il pro­blema è più specifico. Intanto, la sua produzione anteriore si presenta­va con connotati di tipo surreale, ed è parso subito importante mettere in guardia da interpretazioni su quella falsariga. È vero che al Surrea­lismo storico lo accostava non solo una serie di ricorrenti iconografie e la compresenza inquietante, in apparenza onirica, di esseri e oggetti estrapolati da contesti differenti, ma anche il tema del naufragio, della deriva, del relitto, il coincidere misterioso, nella desolazione dell'oriz­zonte, dell'inabissarsi e del sorgere. E tuttavia, appunto, la registra­zione di queste situazioni estreme, dove l'animale campeggiava come punto di riferimento e chiave interpretativa, avveniva in senso simbo­lico: era una lettura, drammatica o consolatrice, di un destino, non l'abbandono all'angoscia dell'indecifrabile; il simbolista è un sensiti­vo, ma non è in balia dei propri fantasmi.

Ciò premetto perché nella produzione recente Gallizioli ci appare di nuovo connesso con il simbolismo, ma da un altro punto di vista. Riconquistando un rapporto più diretto con l'immagine naturale, un più immediato confronto con la gioiosa e intensa sollecitazione del pae­saggio esperito - quello campestre e boschivo, noto da sempre al suo cuore, quello marino, più terso ed aspro, rivisitato in lunghi soggiorni sulle coste jugoslave -; e tuttavia mantenendo nella resa della natura il senso della sua sacralità, sia come presenza solitaria e maestosa sia come luogo di uno sterminato e nascosto brulicare di vite, egli ha rial­lacciato un legame, questa volta, con il Simbolismo storico (la magia di Mehoffer, l'estatica purezza di Hodler) persino nella tavolozza; che tocca un formicolio cromatico quasi pointilliste e una gamma di tonalità tipiche di quella stagione dell'arte (la serie dei gialli, dal rosato si­no al giallo-luce, gli accostamenti dei verdi e dei blu e corrispettivi pas­saggi, e così via).

Tutto questo lascerebbe intendere che l'approdo odierno di Gallizioli sia una pittura più difficile e intellettuale di quella precedente, perché ancora più intrisa di riflessioni culturali. E invece no. L'artista che di­venta padrone dei suoi mezzi riesce a esprimere anche la complessità delle emozioni e l'alto impegno delle tematiche con felice abbandono; egli sa che il controllo è implicito nella professionalità del lavoro, ha sicurezza nelle scelte, capacità immediata di tradurre la visione in im­magine. Gallizioli dunque si pone davanti ai suoi soggetti con una li­bertà spontanea, perché si fida del proprio occhio acutissimo ed esper­to e gli consente di rifarsi vergine ogni volta; e la mano è docilissima (il mestiere, se vogliamo usare la parola: ma che mestiere!). E davanti ha ogni volta un mistero intatto, da scrutare e indagare nelle sue pie­ghe, prima di interpretarlo.

Perciò realizza dal vero questi suoi bellissimi pastelli, fitti e morbi­di, insieme rapidi e minuziosi. Elabora gli acquarelli con pennellate dense, a imbrigliare quanto più si può del baluginìo delle forme nel­l'addensarsi del sottobosco o nel dispiegarsi misterioso della notte. Si tiene vicinissimo al palpito delle piante, degli animali, ogni immagine è immagine di vita.

Infine, in più lenta stesura, dipinge questi grandi olì seducenti e solenni, Incantesimo meridiano, Bagnante, Di primo mattino, dove fi­gure umane ignude convivono con splendidi animali in una sorta di paradiso terrestre; le acque sono limpide e ferme, l'aria trasparente. Tuttavia ciascuno vi appare isolato e chiuso nel giro di una precaria quiete, e l'attesa di un trasalimento, il silenzioso star all'erta ci dicono che non siamo nel regno della serenità raggiunta, né delle certezze, bensì nel luogo periglioso della bellezza ogni giorno data e ogni giorno in rischio d'esser perduta.

Pittore inquietante, mi pare di averlo già detto. Persino in quello che è, credo, il suo ultimo quadro, il ritratto della madre seduta tra il boccioniano e il novecentista, il naif e l'iperrealista; simbolico sem­pre, e, in questo caso, simbolo di un valore rassicurante; ma alle spal­le della figura fremono alberi fitti di fogliame e di presenze segrete; li si avvertono frusciare ritmando il tempo che passa. Proteso verso la definizione di stabili emblemi, ma innamorato di ciò che scorre e tra­smuta, Gallizioli si tiene vicino alla terra e agli esseri che ne testimo­niano la continuità, animali mitici e antichi, personaggi senza storia; sa che le stagioni vanno e ritornano. Ma sa anche che ciascuna di esse è un'altra stagione.

Rossana Bossaglia

Il testo è pubblicato in Giuseppe Gallizioli. Olî, pastelli e acquarelli, Galleria dell’Incisione, catalogo della mostra, Brescia 1984

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