10 Ottobre 2022
di Agostina e Michele Mari
Quando nostra madre lavorava ai suoi primi libri, La mela e la farfalla e L’uovo e la gallina, eravamo poco più che bambini: eppure ricordiamo che ad affascinarci, nel suo lavoro, non era tanto il risultato, splendido per la purezza e l’eleganza del segno, quanto il metodo. Tutto doveva essere religiosamente a posto e in ordine: il cartoncino bristol su cui era proibito appoggiare i polpastrelli; la carta da lucido fissata con puntine (rigorosamente a tre denti, mai a due); la colla, che poteva essere solo la Cow-Gum, da spalmare solo con una certa spatolina flessibile da cui poi si “scapperavano” via grumi brunastri di colla rappresa destinata a essere usata come gomma da cancellare (ricordiamo agglomerati grossi come meteoriti); le lamette da inserire nello Stanley (marca di un taglierino, ma noi si diceva “lo sgarzino”), e da invertire quando avevano perso il filo; i barattoli delle matite e dei pennarelli (Stabilo, Schwan, Staedtler...), le rapidograph con i loro pennini estraibili e scarrucolabili (lo 0.1 si riconosceva per un circoletto giallo attorno alla punta), il perspan da “goffrare”, gli acrilici, le lacche, le sagome di plastica con le curve e le ellissi, le righe a T, i compassi, e naturalmente il tecnigrafo, con la sua tela cerata grigia sostituita ogni sei mesi. Come non lasciare ditate, come non fare “sbaffare” il segno della matita, come evitare che al termine di una linea il pennarello lasciasse un punto più scuro, come campire, come applicare un retino o un Letraset, come usare la carta millimetrata, bastava osservare nostra madre per imparare. E ancora: come temperare le matite con il coltello e come con il temperino, quando e quanto inumidirne la punta, come rimuovere una graffetta senza rovinare il foglio, quando contornare e quando no, quando fare le ombre tono su tono e quando col nero e quando non farle del tutto, e i rigatini, e i rigatini incrociati, e le puntinature... E naturalmente la religione del segno nitido, ultragrafico, senza aggiustamenti. Ecco. E poi ci sono i suoi libri, le sciarpe, i foulards, migliaia e migliaia di disegni con diverse prove di colore che non sono mai arrivate alla stampa. Perché nostra madre era una perfezionista, e solo raramente ha applicato il criterio del suo maestro a Brera, Aldo Carpi, che guardando gli schizzi della propria allieva soleva dire: “Tòchel pü che tel rüini” (non toccarlo più se no lo rovini).
Agostina e Michele Mari