11 Settembre 1999

Il sentimento delle cose nelle opere recenti di Giuseppe Gallizioli

di Mauro Corradini

1. Risale al 1960, poco meno di quaranta anni fa, la prima personale di Giuseppe Gallizioli (Brescia 1935); fin da subito, il pittore è apparso attento ad un rapporto ravvicinato con le cose, con il mondo, con la natura, raffigurati attraverso il filtro dell’emozione. Il secolo che andiamo chiudendo si è aperto all’insegna del superamento della civiltà dello sguardo - la realtà delle cose interpretata dalla grande cultura ottocentesca - a tutto vantaggio di una civiltà del sentimento, dell’emozione; per meglio precisare, il nostro secolo ha completato lo scavalcamento dell’oggetto, e il definitivo sconfinamento nel soggetto. In questa luce, anche Gallizioli ha costruito il suo itinerario artistico all’insegna di un’arte che traducesse prima ancora che la realtà del mondo - di cui tuttavia il pittore non può fare a meno e da cui prende le mosse e gli stimoli emotivi - la realtà dell’animo.

Nell’ultimo ciclo di opere (1998-99) che si espongono (pastelli soprattutto, ma anche acquerelli e oli), tutte costruite, come ama definire lo stesso autore, sul “sentimento della natura”, Gallizioli viene a suggellare un itinerario espressivo, che occorrerebbe rileggere nella sua compiutezza: solo la verifica delle radici, del resto, rende meglio comprensibile anche l’attualità dell’accadere.

La ricerca del pittore bresciano prende avvio, oltre quaranta anni fa, con una iniziale pagina materico-emotiva, desunta dall’immersione nella natura: siamo alla fine del decennio cinquanta; è venuta emergendo, e prendendo piede anche in Italia, quella libertà espressiva che è figlia della poetica informale e anche nelle opere del pittore bresciano, così autonome nella loro costruzione, si avverte una eco di quelle esperienze.

I due decenni successivi sono quasi interamente occupati da una vicenda artistica fondamentale: è la lunga pagina che si definisce (per comodità e pigrizia) surreale, poetica che ha rappresentato la prima maturità espressiva del Nostro, contribuendo a quei legami-contatti con alcune tendenze internazionali assai significative per la sua crescita culturale. Da questa poetica, Gallizioli fuoriesce rituffandosi completamente - una ventina di anni fa, se non andiamo errati - nella realtà, tornando a ridar corpo a quel filo mai interrotto di relazioni poetiche con la natura; filo teso e rigoroso, attraverso cui il pittore vuole approfondire l’anima del paesaggio o, per dirla con il prefatore dell’ultimo catalogo - mostra a Monza, nella primavera scorsa -, Domenico Montalto, dà forma ai “paesaggi del mistero”.

Il ciclo che si propone è l’estrema propaggine di quanto il pittore è venuto costruendo nell’ultimo ventennio. Gallizioli sembra voler riunire la sua individuale storia stilistica con quella complessiva del nostro secolo - ogni opera non è forse il riassunto e la summa di tutte le opere precedenti?; anche per questo, egli attinge alle matrici della pittura che viene a noi dallo spartiacque tra la civiltà dello sguardo e quella del sentimento, di cui si è detto. Forse, proprio nel simbolismo di fine secolo inizia quella priorità dell’emozione che sovrasta quella del racconto; senza venir meno allo sguardo sul mondo, la raffigurazione pittorica diviene rappresentazione simbolica delle nostre inquietudini. Gallizioli, in questa sua opera di riflessione sulla sua vicenda e sulla vicenda della cultura contemporanea, è riandato alle fonti di una tendenza, di una poetica che pur percependo la natura si distacca volutamente dalla mimesi, per entrare in diversi e più articolati territori della mente: da un lato il pittore riscopre Boecklin, con la sua nostalgia per una natura perduta e con il recupero mitologico che apre uno spiraglio tra realtà e mistero; dall’altro lato - e l’osservazione è tanto più calzante sul piano stilistico - ritrova quegli accenti post-impressionisti, attraverso cui la luce si scompone in una miriade di segni, che solo nell’insieme sembrano solidificare la realtà percepita: e si dà forma all’idea soggettiva di un mondo, che solo nell’unità dello spirito individuale ritrova un senso e una ragione.

2. Questa operazione di scavo e di riproposta non è senza conseguenze, anche perché si compie dopo un secolo di avventure linguistiche più o meno dirompenti; forse le uniche istanze che non entrano in questa riflessione-rivisitazione sono quelle post-dadaiste. Il pittore fa emergere, ritrovati all’interno della sua stessa storia pittorica, due temi essenziali, stimoli profondi, matrici basilari della storia contemporanea, il primo dei quali delimitato attorno alla notte, il secondo orchestrato sul vitalismo della natura che si rispecchia nella luminosità della fioritura.

Il tema della notte stellata - numerose opere, oli o pastelli, derivano e mediano il titolo dai due termini: notte e mistero - sembra svilupparsi su una temperie espressiva dominata dalla tensione lirica del colore del cielo, rotto soltanto dall’impercettibile baluginìo delle stelle: la realtà rappresentata, ridotta al monocromo, reso vitale dalla continua sedimentazione del colore, sembra vivere in virtù della vibrazione cromatica, che ha pochi esempi nella nostra recente ricerca pittorica. La notte, con il suo cielo cupo, ampio e sovrastante - c’è una memoria panica, in Gallizioli, che rinvia alla cultura romantica -, conquista l’intera superfìcie della tela; solo una striscia leggera, a volte appena accennata, segna la presenza della terra e nel recupero di antiche pagine dal sapore surreale definisce il lontano orizzonte. E il blu del cielo a dominare, con la sua compatta presenza, con quegli umori emotivi tutti calati nella dimensione espressiva, ad un tempo accensione e dolce turbamento - che sia il “dolce naufragio” di leopardiana memoria?: è come se il pittore riducesse l’intero sentimento nei confronti della natura ad un muto colloquio con la forza interna del colore, che si coagula nel blu, quasi astratto. In questo modello espressivo, la ricerca del pittore va in direzione di una dimensione poetica, tutta raccolta all’interno di un contatto diretto con la realtà: e la ricorrenza del termine “mistico” nel titolo denota la consapevolezza dell’autore per un evento che vuole descrivere ed evocare, fermare e suggerire spazi dilatati, a lungo trattenuti e infine sciolti nel blu notturno, attraverso un accumulo non solo tecnico, ma emozionale.

È un percorso che rinvia a certe pagine di un pittore come Piero Guccione, dedicate al mare, ma soprattutto a quell’origine della cultura del sentimento, che si rintraccia nei movimenti pre-romantici inglesi di fine Settecento, in quell’incipit straordinario di quel cammino che conduce non senza difficoltà alla contemporaneità inquieta. Non nuovo dunque il tema utilizzato dal pittore bresciano: nuova è la dimensione poetica, quel modo di assolutizzare la compatta composizione della visione notturna.

Più interno alle radici espressive del pittore è l’altro tema, quello che si esprime attraverso la dimensione di una natura, vitalistica e bruciata, fiorita prepotentemente in terre aspre, spesso precipitanti nel caldo mare o distese in monotone sabbie desertiche; una natura lussureggiante e accecante con quei gialli che ne anticipano lo spegnersi, metafora forse di una vitalità che si rinnova e si estingue, in un ciclo senza fine.

La ricerca di Gallizioli si accende con i gialli che salgono al cielo sui dirupi della amata terra dalmata (e il ricordo va all’isola di Cherso, che il pittore frequenta ogni estate, ormai da trent’anni), oppure sembra accendersi nel fuoco dei fiori che germogliano, ultimo grido prima del ripiegamento. Nel processo simbolico, il pittore sembra voler attingere alla sacralità naturale, quale si ritrova, per esempio, nelle straordinarie pagine del romanticismo tedesco. In una certa misura, attraverso l’assenza dell’uomo, presenza fragile e marginale quando compare, attraverso l’esaltazione della forza naturale, si direbbe che Gallizioli voglia dichiarare la sua distanza dal mondo che attraversiamo, dimensionare il suo distacco dalla quotidianità: solo nelle regioni intatte, l’artista coglie quegli stimoli verso la poesia: la natura rivisitata dall’artista è l’ultimo luogo del mito, della conservazione (e della memoria) dei bisogni emotivi dell’animo. In questa dimensione espressiva, il colore scandito nelle sue strutture primarie ha la prevalenza, e la percezione privata, quasi segreta, si traduce in pigmento materico, trascritto ai limiti di una interiore nevrosi; ad un tempo, la “frenesia” cromatica riconduce la visione poetica sui binari dell’apparenza, ripropone la natura come pura sostanza emotiva, immateriale e pur vitalissima, impalpabile nello sfaldarsi della forma e tuttavia di straordinaria verità sensibile. Il “mistero” dei titoli non è solo nella notte, ma nel perdersi vitalistico e lussureggiante delle forme, nelle quali (o attraverso le quali) il poeta-pittore scopre l’incomprensibilità della vita, la nostra incapacità e/o impossibilità a dominare il mondo, di cui possediamo solo la dimensione emotiva: per questa via, il sentimento viene a noi dalla realtà, come voce segreta e spesso incomprensibile.

La natura, nella sua straordinaria ricchezza, diviene simbolo delle contraddizioni interiori, emblema di quell’inesprimibile, che sembra costituire una delle mete dell’arte contemporanea e una delle chiavi essenziali per comprenderne la ricerca poetica. Il pittore cerca la via non tanto per ribadire il senso di nostalgia, quanto il valore di una realtà perduta, il bisogno profondo forse di una rigenerazione che passi per quella naturalità, che la società moderna ha cancellato. In questo senso esprime il sentimento della sconfitta, di una irremediabile perdita; orfano e fanciullino, traduce la sua sensazione in ammirazione estatica, in intatto stupore, in sogno ad occhi aperti per un’incredibile ricchezza ancora a disposizione. Una lettura cristiana di questo approccio fa pensare, come avviene nel ricordato testo di Montalto, da cui abbiamo preso le mosse, al segreto della “creaturalità delle cose”; ma si potrebbe egualmente cogliere, in questo rigore mentale, in questa tensione espressiva alla ricerca del mondo, il senso laico di un ancoraggio all’unica realtà disponibile a trasmettere emozioni, e la moralità del mestiere di pittore. Metafora rinnovata della funzione poetica, così negata dall’utilitarismo attuale, e sottolineatura indiretta di quella fuga dal mondo, dall’attualità, dal tempo e dalla storia, che sembra costituire uno dei leit-motiv della cultura del secolo che andiamo chiudendo.

Mauro Corradini, Brescia, agosto-settembre 1999

Il testo è pubblicato in Giuseppe Gallizioli. Acquarelli e pastelli, catalogo della mostra, Galleria dell'Incisione, Brescia 1999a/p>

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