Bresciaoggi, 3 ottobre 2007
di Giampietro Guiotto
I colori sono quelli sbiaditi della juta, del tulle o delle garze, mentre i segni sono ricami concentrici che trattengono, con i loro fili, spilli e spine di rose vere. Ketty Tagliatti – in mostra alla Galleria dell’Incisione fino all’8 novembre dalle 17 alle 20, chiuso il lunedì) – ricama e insegue nelle sue tele la forma floreale svanita della rosa, la increspa e l’amplifica, aggiunge aghi pungenti, ma, nell’inseguimento del disegno e del ricordo, nell’attesa che il segno diventi presenza riconoscibile, l’emozione si perde, si dimentica di sé. Nella scelta della tecnica del cucito e nel tempo lungo del fare, infatti, il ricordo del fiore si dispera, cerca un contatto con il ricordo puro, insegue l’immagine del passato, ma, alla fine, si arrende alla percezione dell’istante che vorrebbe contattare lo spirito del fiore.
L’ARTISTA decide di farsi possedere dal ritmo ossessivo del ricamo, accarezza e punge continuamente la tela, traccia e rin-traccia il segno sommerso nella memoria, cosciente, però, che il tempo dell’esecuzione e il tempo impreciso del ricordo non coincidono con il tempo istantaneo dell’emozione. È il momento della creazione artistica, l’atto di sospensione dal tempo reale, lo sprofondamento nella coscienza, la pausa, l’allontanamento da ogni preoccupazione della rappresentazione, in breve è la fuga. Dall’opera affiora, poi, il ricordo, mentre i ricami rivendicano il ritmo naturale antico, il tempo lento privato, il respiro psichico e il silenzio del pensiero al femminile.
LE ROSE, quelle che l’artista ammira en plein air nel suo giardino, sono continuamente evocate, ma sono ormai solamente un pretesto per scrivere il suo diario, ascoltare e tradurre il suo tempo interiore. Il ricordo del passato si trasforma in segno grafico del presente per durare nel futuro, con ciò che resta della forma, dell’attimo e del ripetersi del gesto. La rosa diviene forma concentrica o ruota ciclica del vivere, metafora di bellezza che persiste anche dopo la sua morte, contraddizione tra ciò che si vede e ciò che non esiste più. Essa protegge e trattiene, fino all’ultimo, il suo profumo, sboccia e si riavvolge ininterrottamente, ma rimane sempre un enigma, perché, come ogni cosa, nasconde sempre una parte di sé.
G.G.
Giampietro Guiotto, Bresciaoggi, 3 ottobre 2007