14 Marzo 2005
di Gianfranco Bruno
Sottesa al lungo percorso della pittura di Giuseppe Gallizioli sta una sua segreta storia, leggibile attraverso i dipinti dall’artista eseguiti con le più duttili, e dirette, tecniche del pastello e dell’acquarello, che ulteriormente conferma l’intima coerenza del suo lavoro: un delicato controcanto che accompagna l’immagine dipinta, quasi si leggesse in filigrana il suo più luminoso, profondo nucleo ispirativo.
Gallizioli si è nel tempo spinto su terreni diversi, ma sostanzialmente riconducibili alla dialettica tra un’immagine ideologicamente impegnata – seppure sempre gravitante in un’area di prevalente visionarietà e poesia – ed una strettamente avvinta al proprio terreno esistenziale, nel quale l’artista ha trovato, nel minimo di distanza dalla fonte stessa dell’emozione, oppure nella sua proiezione nel fantasmatico, e simbolico, universo del mito, la sua più convincente verità.
Ma in ogni tempo, lo si leggesse nella finissima trama dei suoi “paesaggi dell’anima” degli anni sessanta, intessuti di una variata organicità di segni, oppure negli schiariti orizzonti sui quali s’accampavano, più tardi, oggetti emblematici dell’attuale disastrata condizione, o nei recenti, luminosi scenari del mito, emergeva il riverbero del suo primigenio luogo ispirativo: la Natura.
Rare volte si visita una mostra in cui, come in questa, un’ininterrotta, sottile tensione percorra l’intera sequenza delle opere esposte e si crei come per incanto un’aria sospesa, dove ogni immagine galleggia come un frammento di un’unica composizione musicale intrisa d’intima unità, sicchè ognuno dei singoli brani richiama il compiuto senso del tutto, e l’insieme s’illumina delle loro differenti qualità. Se è lecito per analogia, o parafrasi, pensare a un’eletta musica che nasce in quello stesso territorio d’arte e di cultura cui sommessamente Gallizioli fa riferimento – con l’industriosa modestia che si conviene ad un artista d’oggi quando guardi a lontani, così alti esempi – vengono alla mente le mirabili Images di Debussy: Reflets dans l’eau… Cloches à travers les feuilles… Poissons d’or… La profonda, struggente risonanza degli accordi, gli intervallati silenzi, le riprese, il pausato fluire delle note e il loro lento spegnersi in una distanza d’anima…
La Natura è il vero nucleo ispirativo da cui sempre Gallizioli si è mosso. Ciò è più evidente in queste immagini che, per essere aperta confessione di un amore che è stato il movente primo della sua vocazione di pittore, non potevano non guardare ad esso come a una presenza in cui l’artista, al di là della cultura stessa, si riconosce. Ciò non vuol ovviamente dire che l’immagine di Gallizioli non sia colta: dal momento che l’affinamento del linguaggio è frutto d’una lunga esperienza, del suo decantarsi in segni e in colori atti a dar figura nel modo più efficace al volto della cosa amata.
Gallizioli ha praticato in tutto il suo percorso le tecniche del pastello e dell’acquarello, al punto d’essere oggi maestro nel combinarne le reciproche potenzialità espressive, unendovi per giunta quella sagacia disegnativa che gli deriva dall’aver sempre frequentato un’altra tecnica in cui eccelle, l’incisione.Il tessuto d’ogni sua immagine svela combinazioni diverse, ma sempre nuove, tra le due tecniche: o la granulata polvere del pastello avviva le piane, trasparenti stesure dei colori ad acqua o, viceversa, sono quest’ultimi a porgere, disponendosi densi come una pittura a corpo, riverberi di più intensa luce al diffuso, ovattato chiarore del pastello. E il segno intesse trame leggere, o fa emergere, nei fogli meno figurati, tracce minute, come esili suoni appena udibili nel silenzioso, immaginifico campo che il colore crea. Sono i dipinti di stagni, di giardini, di boschetti in fiore, di luci d’alba.
Nelle dispiegate raffigurazioni di paesaggio, il segno mette a nudo invece l’impalcatura delle cose: scogliere, coste, dirupi s’affacciano nella loro essenziale struttura quasi di fossile, o di forma corrosa dal mare, ma vivi per la luce che promana dal loro diseccato biancore.
Gallizioli si è ispirato a paesaggi diversi, ma di essi ha dato, come sempre accade a un’arte che abbia raggiunto una propria, precisa identità, un’immagine di assoluta unità stilistica: essa può essere ricondotta, oltre che ai precipui caratteri formali che distinguono la sua intera opera, ad una moderna tradizione del pastello, che va da Monet, a Vuillard, da Redon, a Khnopff.
I fogli esposti in questa mostra possono egualmente essere intesi come l’imprescindibile antefatto ispirativo dal quale muove la sua più elaborata pittura, oppure come l’esito impreveduto, nel pensoso raccoglimento di felici momenti creativi, della lunga fatica che ne ha accompagnato la nascita. Il giardino, tema frequente di queste incantate immagini, è la più convincente metafora della felice condizione creativa che le ha generate. Il giardino come luogo concluso, dove è ancora possibile all’artista, lontano dalle inquietudini del mondo che hanno toccato, e talvolta ancora toccano, la sua pittura, dare ascolto alle sommesse voci dell’amata Natura.
Gianfranco Bruno, marzo 2005
Il testo è pubblicato in Giuseppe Gallizioli. Le stagioni della luce, catalogo della mostra, Galleria dell’Incisione, Brescia 2005