28 Gennaio 2009

Maugham - Casorati. Storie di pittura

di AnnaMaria Chiara Donini

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Dire nel silenzio, nell’esilio della parola, privando i suoni dal rumore che disturba l’essenzialità. Un filo è teso ad unire racconti, destini intrecciati dove l’attesa sfiora luoghi senza tempo, dove la gravità — per sottrazione — ha perso il suo peso mantenendone la sostanza… tele, disegni, incisioni, frammenti di tessuto uniti nell’invisibilità delle cuciture: un’esemplificazione abbreviata delle opere di Francesco e Felice Casorati, di Daphne Maugham Casorati e di Mabel Hardy Maugham, offre la possibilità di aprire il nostro sguardo su un orizzonte complesso, di calarci in un microcosmo domestico rivivendo un’atmosfera carica di suggestioni visive, di rituali silenziosi, di rapporti familiari ed artistici.

Nelle sale di una galleria unica nel suo genere, anche per quel suo conservare e restituire un sapore privato e confidenziale, s’incontrano e s’incrociano i lavori di quattro artisti le cui impronte hanno segnato in modo diversamente profondo il terreno della storia figurativa contemporanea. Affiorano così memorie comuni, aderenze culturali, ma anche percorsi personali ed indipendenti legati a doppio filo da una sutura parentale d’eccezione: un cordone che si annoda a Torino a partire dalla prima metà del Novecento.

Daphne e Felice sono i capi che uniscono storie, tessendole, configurandole; e se lui è il maestro indiscusso, lei, vissuta nel suo “cono d’ombra”, è causa ed origine del cambiamento che lo riporterà “en plein air”, che favorirà la messa in discussione della sua tavolozza, che aprirà il suo mondo — permeato di cultura viennese, fiamminga e rinascimentale — alla pittura francese.

“[…] Alta, chiusa, pallida, piena di riserbo e di una bellezza […] profonda […]”[1] (caratteristiche che possiamo registrare nel ritratto a matita eseguito nel 1931 da Felice Casorati) Daphne Maugham — figlia di Charles avvocato e diplomatico appartenente all’alta borghesia londinese[2] e di Mabel Hardy [3] pittrice e musicista dotata — giunge in Italia alla fine del 1925 con l’intento di studiare sotto la guida di un uomo straordinario. L’ingresso nel cenacolo di Felice Casorati, che l’anno precedente aveva realizzato il ritratto di Cynthia Maugham[4], è pressoché immediato: la giovane artista inizia così il suo nuovo tirocinio partecipando ai corsi organizzati presso una scuola “[…] completamente nuova, lontana da ogni sistematicità d’accademia […]”, un luogo “[…] dove Casorati prepara la creazione di un gusto nuovo, di una nuova sincerità di espressione […]”[5]. Proveniente dall’Inghilterra, Daphne porta con sé un bagaglio culturale carico d’esperienze singolari raccolte a Parigi e a Londra. Poco più che ventenne ha già al suo attivo diverse mostre collettive, un’esposizione al Salon, un apprendistato che l’ha vista incontrare alcuni fra i maggiori esponenti dell’arte parigina, a seguire dapprima le lezioni di simbolisti e post-impressionisti (Serusier, Denis, Bonnard, Vallotton) alla Académie Rançon, poi dell’espressionista Mela Mutter presso il suo atelier e del cubista André Lhote alla Académie Notre Dame des Champs, ed infine a diplomarsi, nel 1922, presso la prestigiosa Slade School of Art della London University.

Arriva, dunque, in Italia con un carnet ricchissimo — sul quale s’appuntano le tendenze dell’arte moderna e gli studi sull’arte italiana del Tre e Quattrocento — ed è tuttavia capace di porre tra parentesi quelle esperienze per “[…] imparare a dipingere […]”[6].

I lavori realizzati nella seconda metà degli anni Venti riflettono gli insegnamenti appresi presso la scuola[7] di via Bernardino Galliari a Torino: così la visione dall’alto, la costruzione architettonica a quinte, la solidità di figure e spazi divengono centro animatore di opere quali “Persone nello studio” del 1928 o de “La colazione” dell’anno successivo (oggi in mostra), e di tutte le tele che in questo periodo sfilano nelle numerose esposizioni collettive e alle Biennali di Venezia.

Anche il colore si fa più casoratiano, diviene più sensuale e morbido, la stesura più rigorosa e priva di qualsiasi libertà atmosferica. Eppure se nell’allieva la lezione è stata assimilata così in profondità da poter parlare, almeno sino ai primi anni Trenta, di dipendenza dall’operato del maestro è pur vero che l’influenza non sembra avere un andamento unidirezionale: le nuove ricerche che Casorati introduce nei dipinti eseguiti dopo la cosiddetta fase “quattrocentesca”[8], quali l’interesse sempre più vivo per il paesaggio, l’addolcirsi della ricerca prospettica, l’introduzione di una tavolozza rinnovata in gamme più solari e sfumate sono segnali di un’apertura “all’aria di Francia” portata anche da Daphne. E se nelle opere di lui la linea permane come ragione costruttiva del quadro (chiari esempi sono i linoleum e i disegni presenti in galleria), in lei – divenuta nel 1930 sua consorte – i valori cromatici ritornano ad assumere un aspetto preponderante: […] il colore ha lo specifico ruolo di tassello costruttivo della scena pittorica, è il diaframma attraverso il quale passa un’inequivocabile antitesi al maestro […]”[9]. Una peculiarità che con insistenza si fa strada nel Nudo del 1937 e nel Nudo seduto del 1938, nelle nature morte, nei paesaggi e nelle vedute della collina torinese. I tratti morbidi ed uniformi lasciano spazio ad un segno energico, le campiture sfrangiate sostituiscono la pennellata porosa, le ombre portate s’avvicendano a colori riempiti dalla assenza di luce oppure accesi per mancanza di scuri, cosicché la materia, facendosi ragione generatrice di un rapporto intimo con le cose dipinte, risulta visibile in quanto tale.

Durante gli anni Quaranta e i successivi anni Cinquanta il segno dell’artista s’apre sempre più a registrare la quotidianità ed ogni occasione è propizia per fermare un frammento di realtà anche su supporti poveri, apparentemente privi di dignità (un pezzo di una cassetta in legno, un lembo di cartone)… una marina, una collina, l’ingresso di villa Enrichetta a Pavarolo, un’alzata con brocca, sono soggetti colti nell’istante in cui vengono costruiti dalla luce, sono pause che raccolgono il silenzio.

“Mia madre — dice Francesco Casorati —dipingeva tenendo diversi pennelli in mano, a volte li teneva persino in bocca, e il suo fare il quadro prevedeva una “frenetica”, ma dosata, sovrapposizione di colori che s’accoppiavano all’unisono a destra e a sinistra del soggetto. E la composizione sottointendeva un’idea architettonica che, pur essendo in taluni casi ancora riferibile all’insegnamento di mio padre (questa quinta a sinistra nella veduta di Pavarolo del 1964, per esempio), dilatava la scena oltre i confini della tela … La sua è una pittura libera, personale, che può essere definita tonale e post-impressionista”.

Il critico Luigi Carluccio, nel 1955, propone un accostamento tra “[…] le tessere cromatiche di Daphne e i […] frammenti di fili, di garze e di veli multicolori fermati da Mabel Hardy Maugham (Beldy) sulla tela con leggere invisibili impunture […]”[10]; è un parallelo che il visitatore avrà l’opportunità di verificare non dimenticando — mentre avvicina manufatti materni quali Natura morta del 1939, Bucaneve del 1945 o Finestra del 1950 — il variegato e complesso iter culturale di Daphne Maugham Casorati.

Se il suo lessico è declinato in senso anglo-francese, la sintassi calibrata su un ordine mentale disciplinato e su rapporti compositivi studiati, cosicché il silenzio sia percepito come “centro motore” della rappresentazione, ha senza dubbio radici torinesi. Le stesse che, rimesse in gioco e ricombinate nel catalogo del proprio mondo, affiorano anche nella pittura di Francesco Casorati[11]. Il silenzio è parte importante del suo lavoro, quell’assenza di rumore che, negata, ne disturberebbe l’essenza profonda. Figure dolcemente spiazzanti uscite da un abbecedario “fiabesco” nel quale la linea, chiusa in un continuo incontrare e replicare se stessa, disegna luoghi abitati di volta in volta da navi, alberi, case, teatrini: “un mondo dove ogni oggetto viene mostrato in una realtà statica e spaesata rispetto all’abituale collocazione[12].

Ho visto più volte Francesco nel suo studio porsi davanti al cavalletto, quotidianamente, cosciente che il lavoro dell’artista necessita di disciplina, seduto a dipingere con lucida intuizione, con una sapienza acquisita durante il suo lungo percorso artistico, arricchita da un’esperienza centrata su incontri straordinari. E se il segno continuo, che contorna e separa, dice di quanto egli abbia appreso dall’insegnamento paterno, dal punto di vista tecnico è la madre che gli “[…] ha insegnato tutto. Per lei era fondamentale il mestiere. E poi mi ha insegnato l’amore del quadro come oggetto, il senso della composizione meditata e precisa […]”[13].

Soppesare gli equilibri anche là dove il soggetto è solo, spogliato da ciò che non è ritenuto necessario come accade ne “Il filo strappato” del 2002 o nei “Tre alberi” del 2008; la linea dice e s’increspa, scava con la grafite la pittura ancora fresca … chiama a seguire un filo rosso che ci porta nello spazio del quadro: una composizione che si anima in superficie per mezzo di una pennellata unita, ma soffice e porosa, in profondità ritagliando piani, inserendo quinte di quadri nel quadro, sovrapponendo alti orizzonti, delimitando campi di cielo e di mare.

Il pittore, fedele al suo mestiere, affabula con studiata semplicità, con un linguaggio mai veristico, racconti complessi ed apre la nostra visione ai riti della composizione silenziosa. Il filo viene ad unire così non solo un repertorio minimo di figure catalogabili, ma — inesorabilmente — congiunge destini familiari e, nel suo dipanarsi, intrecci di percorsi unici ed originali che hanno nella pausa, nell’assenza d’inutili suoni, la loro comune origine.

Note

[1] Carlo Levi, Daphne Casorati (presentazione della mostra Daphne Casorati tenutasi alla galleria La Bussola di Torino), To, 1954; ora in Daphne Maugham, cat. mostra, Marianna Ferrero Editore, To, 2004, p117

[2] Il fratello del padre, William Somerset Maugham, era scrittore di chiara fama

[3] Mabel Hardy (Beldy) era figlia di un noto pittore, Heywood Hardy e pronipote di Sir William Beechey, ritrattista alla corte della regina Vittoria.

[4] Cynthia Maugham, sorella - con Clarisse Maugham Farrell, di Daphne, era a Torino con la compagnia dei danzatori russi Sakharoff impegnata negli spettacoli allestiti dapprima presso il teatro Odeon, poi, ultimata nel 1925 la realizzazione dell’edificio da parte di Casorati e dell’architetto Sartoris, presso il teatro privato dei coniugi e mecenati Gualino

[5] Baretti (Piero Gobetti), in L’Ordine Nuovo, dicembre 1921, ora in Piero Gobetti, opere complete, Scritti storici,letterari e filosofici, a cura di P. Spriano, Einaudi, To, 1969

[6] Daphne Maugham, testo per una conferenza (1967 ca), in Daphne Maugham (cat cit), M. Ferrero Editore, To, 2004, p125

[7] Una descrizione efficace della scuola è tratteggiata da Lalla Romano, La scuola di Felice Casorati, in L’Arte, 1930, pp 379-383

[8] Il 1925 sancisce per Casorati il culmine del successo e l’apice della sua fase più rappresentativa. Fra il 1922 e il 1925 l’artista dipinge quadri “icone” come Fanciulla addormentata e Lo studio (distrutti durante l’incendio del Glaspalast di Monaco nel 1931), I ritratti dei coniugi Gualino, il Ritratto della sorella Elvira, Meriggio. Si veda Felice Casorati (catalogo ragionato), a cura di Poli-Bertolino, Allemandi Editore, To, 1995; inoltre Felice Casorati 1883-1963 (a cura di M.M. Lamberti - P. Fossati), Fabbri Editore, Mi, 1985

[9] Ivana Mulatero, Una rana grigia, in Daphne Maugham (cat.cit.), M. Ferrero Editore, To, 2004, p106

[10] Luigi Carluccio, Daphne Maugham Casorati, 1955, ora in Ivana Mulatero, Una rana grigia (op.cit.) in Daphne Maugham (cat. cit.), Marianna Ferrero Editore, To, 2004, p 110

[11] Francesco Casorati nasce a Torino nel 1934. A quindici anni comincia a dipingere con una certa continuità. Nel 1952, finito il liceo, decide di fare il pittore. Nel 1954 allestisce la sua prima personale. Nel 1956 va a Parigi dove vive per circa due anni. Nel 1956 è ammesso per accettazione alla Biennale con tre quadri. Da allora ha partecipato a mostre ed esposizioni nazionali ed internazionali. Della sua opera hanno scritto, fra gli altri, Carluccio, Valsecchi, Ballo, Fossati, Levi, Lamberti e Vallora

[12] Paolo Levi, Francesco Casorati (cat. mostra), To, 2000, ora in Daniela Lauria, Storie di pittura e letteratura a Cervo (cat. mostra Cervo Storie di pittura piemontese del Novecento in Liguria), Grafiche Amadeo, Imperia, 2008, p 20

[13] Conversazione con Francesco Casorati (a cura di Elena Pontiggia), in Arte in Due. Coppie di artisti in Europa 1900-1945 (cat. mostra), Mazzotta, Mi,à 2003, p159

Mariachiara Donini, gennaio 2009

Il testo è pubblicato in Maugham-Casorati. Storie di pittura, catalogo della mostra, Galleria dell'Incisione, Brescia 2009

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