La Repubblica, 5 dicembre 2007
di Chiara Gatti
«Nel ceto degli artisti io sono sempre stato un irregolare, ma l'opera mia non si è limitata solo a un appagamento della vista, ho cercato di comunicare qualche cosa di più». E c'è riuscito, Duilio Cambellotti (1876-1960), in oltre cinquant'anni di attività vissuti sempre in prima linea. Sì, perché questo poco conosciuto quanto efficace artista romano è stato una specie di William Morris all'italiana. Ovvero uno che ha sempre fatto il mestiere d'artista (fra scultura, incisione, scenografia, illustrazione e design) convinto che l'arte non fosse privilegio di pochi, ma destinata alla collettività. In linea con il socialismo utopistico inglese di Morris si dedicò al rinnovamento delle arti applicate, concentrandosi sulla grafica per il suo potere di diffusione delle idee. Nella Roma di primo Novecento, culla del socialismo rivoluzionario, cominciarono a circolare le sue immagini forti di braccianti e operai, incudini e mandrie al pascolo, stampate sui manifesti o sulle copertine dell'Avanti. Disegni splendidi protagonisti di una mostra in cui spiccano il bozzetto liberty per l'Esposizione nazionale di Torino del 1897, una serie di chine visionarie degli anni Quaranta e uno schizzo per la scena teatrale de La disperazione di Serse del 1930, che per intensità avrebbe meritato una regia di Brecht.