Bresciaoggi, 4 gennaio 2003
di Mauro Corradini
All'Incisione di via Bezzecca una raccolta che si apre su due stagioni, quella storica e quella recente.
In un testo critico scritto per Repubblica una ventina di anni or sono, Giuliano Briganti afferma, a proposito di un incontro con Renato Guttuso, che «dipingere un ritratto è dare testimonianza del suo incontro con un altro. Testimonianza di un'amicizia, di un amore».
Affermazione che si può condividere per Guttuso e per tutti gli artisti che hanno fatto la scelta iconica del realismo, quello specifico percorso che porta sulla tela non tanto la realtà del mondo, quanto «il rapporto (dell'artista) con le cose e il rapporto con se stesso». Su un diverso versante, in un catalogo di una decina di anni fa, Paolo Fossati, parlando delle teste
giovanili di Vasco Bendini, afferma che tali disegni «non ci interessano tanto come esempi di qualche fisiognomica, oppure di proiezione psicologica. (Il ritratto come carattere è ormai, alle date del 1950 0 del '52 in cui Bendini disegna, una maschera o un fantasma)».
Sono due poli, quando si volesse affrontare una riflessione sul ritratto, da cui il nostro secolo non può sfuggire: su cui riflettere, seguendo la carrellata di ritratti che Chiara Fasser ha allineato negli spazi della Galleria dell'Incisione, per ricordare il suo trentesimo anno di attività: nel 1972, in corso Matteotti, la galleria esordiva con una memorabile mostra che ne indicava il cammino: Grafica simbolista e surrealista.La mostra attuale non ripercorre l'intero cammino; si avvale tuttavia dei due nuclei specifici delle due scelte: quello iniziale, originario e storico, legato alla stagione simbolista e al suo progressivo scivolamento nella stagione dell'espressionismo (grosso modo tra l'ultimo ventennio dell' Ottocento e il primo trentennio del Novecento), e quello recente, legato alla contemporaneità, legato all' attualità del fare arte, tra i quali spiccano, in una certa misura, tre artisti bresciani «tenuti a battesimo» dalla galleria stessa in anni più 0 meno lontani.
Giuseppe Bergomi, Diego Saiani e Giorgio Tonelli: segno di una attenzione che non può mancare in una galleria che voglia fare anche cultura.
I due percorsi sul ritratto, quello storico e quello recente, sono ancora ben evidenziati negli spazi della galleria, ma non ordinati in cronologie o scomparti che forse confonderebbero, più che suggerire: la mostra crea suggestioni, attraverso la singolarità del folio, sia che si tratti del carboncino di Hans Unger, con il pathos dei capelli che divengono inquietudine e movimento, sia che si incontri la serena dolcezza del viso femminile nel carboncino di Emil Orlik, che attenua il disagio nella serenità del sorriso. E poi ancora la crudele dimensione dell'essere nel doppio ritratto di Rudolf Schlichter eseguito da George Grosz nel 1923, e quello sguardo svagato che ribalta l'adolescenza munchiana nella verità amara della vita, nel ritratto a quattordici anni di Karl Hubbuch, una cui eco lunga si ritrova, oltre la storia, nello studio di Werner Tübke realizzato ormai negli anni Sessanta.
La pagina recente propone nomi cari alla galleria; tutta la raccolta del resto si basa su scelte che la galleria ha con continuità realizzato, per cui anche il ritratto che ci guarda con occhi recenti vive la medesima dimensione di quelli appartenenti alla storia di un secolo fa: e viene a noi il volto del giovane di Livio Scarpella dalla plastica intensa, con cui dialogano ¡ volti di Giuseppe Bergomi; ancora l'Autoritratto di Giorgio Tonelli ad indicare una variante di notevole spessore nel mondo della ritrattistica, a dialogare con i due volti di Andrea Martinelli che ripropone la possibilità di leggere l'altro attraverso quella «finestra» dell' animo che il viso rappresenta: dove i segni individuali divengono storia, non più e non solo individuale, ma collettiva.
Alla fine del percorso, al lettore ritornano il dissidio, il dilemma, il dubbio: se lo scopo di scrivere un libro, come afferma Nietzsche, è quello «di nascondere quel che si custodisce dentro di sé», lo scopo del ritratto è quello di mostrare o di celare? Per dirla con riferimenti da cui siamo partiti, mentre scopriamo il rapporto di sé con gli altri, che il ritratto suggerisce, ci sembra nel contempo che la galleria sia anche una sequenza di maschere, di fantasmi, la cui identità profonda, nonostante tutto, continua a rimanere inconoscibile.
Mauro Corradini, Bresciaoggi, 4 gennaio 2003