21 Giugno 2019
di Ruggero Savinio
Ruggero Savinio racconta nel suo ultimo libro la sua partecipazione alla mostra Di padre in figlio (autunno 2018) e alla conversazione Talis pater (27 ottobre 2018).
Adesso ho avuto l'occasione di annettere Brescia alle città già conosciute, o almeno percorse, girate. L'occasione è stata, come sempre, una mostra, che mi riporta alla mia prima giovinezza. Il critico Luigi Carluccio, nel 1954, aveva organizzato una mostra dedicata ai padri e figli. Pittori che seguono le tracce, o almeno l'attività paterna. C'erano il mio amico Francesco Casorati, figlio di Felice; Mauro Chessa, figlio di Alfredo Menzio, altri che non ricordo, e c'ero io. Adesso Chiara Fasser, che ho conosciuto un tempo come figlia bambina della pianista Gioietta Padova, di cui mio padre fece il ritratto nel 1951, ha voluto proporre la stessa mostra nella sua Galleria dell'Incisione, a Brescia. Non la stessa: oltre ai pittori detti c'erano lo scultore Arturo Dazzi col figlio Romano; il pittore Robert Carroll con la figlia Jessica; il pittore Velasco col padre Giancarlo Vitali. C'erano certe opere di mio padre, come il ritratto della madre di Chiara, e certe opere mie.
L'intrico anagrafico e genealogico si tinge di qualche funebre aspetto, perché ai morti genitori si accompagnano i figli defunti. Francesco Casorati non c'è più, è andato a raggiungere il padre Felice nell'aldilà, dove mio padre è installato da tempo. L'altro mio amico, Robert Carroll, chiamato Robin dagli amici, e da me che gli ero perfettamente coetaneo, neanche lui c'è più; c'è sua figlia Jessica, e anche lei me la ricordo bambina. Velasco è un pittore giovane, almeno in confronto a me: ha passato i sessant'anni, ma un pittore sessantenne da me è facilmente considerato un ragazzo. Giancarlo Vitali non è un giovane pittore, anzi non era, perché è morto da poco a più di ottant'anni. Era giovane in quanto pittore. La sua lunga attività si è svolta segreta, difesa dall'indifferenza al successo in un paesetto sul lago di Como. La sua pittura, lontana da ogni furbizia, di grande naturalezza, era stata scoperta per caso da Giovanni Testori, un altro di quelli che Testori annetteva al suo personale museo. Velasco ha ricevuto da Giancarlo il nome augurale che l'ha fatto diventare un bravo e apprezzato pittore. Fondandosi sul suo credito, il figlio ha organizzato una grande mostra del padre, in tre sedi prestigiose di Milano: Palazzo Reale, Castello Sforzesco, Casa del Manzoni, questa con l'allestimento di Peter Greenaway, il regista-pittore.
Parlavo d'intrichi anagrafici, ma potrei parlare di gioco, un gioco temporale che fa di un figlio la levatrice del padre. E non è finito qui: Arturo Dazzi era uno scultore di grande mestiere; viveva e lavorava in Versilia, al Cinquale, in provincia di Massa. Per uno scultore abitare vicino alle cave Apuane era insieme un'ovvia scelta abitativa e la garanzia di una pratica del marmo. Io Dazzi lo conoscevo. Sono andato certe volte a trovarlo. Me lo ricordo che tirava fuori disegni da un cassone per mostrarli a me e a mia madre in visita: erano veloci disegni di animali, come quelli che vedevo adesso al muro della galleria di Chiara. Il figlio Romano, considerato un giovane disegnatore di prodigiosa abilità, è morto prima del padre. Adesso vedevo insieme le opere dei due, e devo dire che i disegni del padre mi convincevano più di quelli del figlio: hanno una sciolta semplicità che li rende tuttora vivi, mentre quelli di Romano mi sembrano definitivamente bloccati nel gusto di un'epoca remota. Un altro gioco, o scherzo dei tempi: nel giardino di Dazzi vedevo, nei primi anni Cinquanta, l'obelisco dedicato a Marconi cui lo scultore stava ancora lavorando. Era stato commissionato per l'E42, la fiera e il quartiere che, per la caduta del regime, non furono inaugurati a tempo. Giaceva a terra, col mesto abbandono di un gigante abbattuto, come l'obelisco che vidi ad Assuan ancora radicato alla roccia. Adesso l'obelisco di Marconi svetta all'EuR, come un riferimento topografico o uno spartitraffico.
Nel gioco temporale, naturalmente, ci sono anch'io. All'età di concludere sono ancora annesso alla categoria dei figli. Questa condizione, oltre all'ovvia conseguenza d'incenerire una lunga stagione di lavoro, possiede quella positiva di darmi una persistente immarcescibile giovinezza.
Durante l'inaugurazione, installato sopra una poltroncina davanti al pubblico dei visitatori, avevo accanto l'amico critico Sandro Parmiggiani, che con qualche opportuna domanda metteva in chiaro per gli ascoltatori il rapporto mio con la persona di mio padre e con la mia propria persona. Il giorno dopo, una domenica insistentemente piovosa, ci siamo buttati nella visita della città.
Da Ruggero Savinio, Il senso della pittura, Neri Pozza, giugno 2019