3 Aprile 2000

L'inconscio e il conscio nell'atto della creazione dell'Arte

di Rudolf Schlichter

Scrivere su se stessi è un'impresa spinosa, si ha sempre la fatale sensazione di compilare una scheda segnaletica le cui indicazioni non servono ad altro che incoraggiare i nostri bravi poliziotti culturali ad un'allegra battuta di caccia ai meno accorti. Se mi azzardo lo stesso, lo faccio solo per il fatto che di tanto in tanto mi sento irresistibilmente tentato di rispondere picche, in arena aperta, ai manipolatori di opinione, benché, dopo parecchie scottature, io sia ben conscio dei pericoli che si corrono, e benché sappia che di solito ci si procurano, oltre a una dubbia fama, soltanto delle brutte ferite. Non per ultima viene soddisfatta la benedetta vanità, dalla quale più o meno siamo affetti tutti e che ci spinge troppo spesso a rischiare inutilmente la pelle.

Allora, con che cosa inizio e come mi smaschero nel modo più divertente e vantaggioso senza dare troppo sui nervi ai lettori di questo autoritratto? Mi accorgo che a questo punto sorgono alcune difficoltà. E sia! Le difficoltà esistono per essere superate, e così comincio senza grossi scrupoli e falsi pudori.

Sicuramente Lei vuole sapere da me, per esempio, che cosa penso facendo i quadri che conosce. Bene, nel farli il pensare è meno di quanto presume la maggior parte degli osservatori, più importante è invece il sentire – i quadri infatti vengono concepiti in parte con piacere, in parte con un brivido, perlopiù con entrambe le sensazioni. Questo sentire è al tempo stesso un pensare; inseparabilmente legati uno all'altro, si manifestano simultaneamente. All'inizio in realtà i quadri sono alquanto vaghi, solo eseguendo schizzi e provando si addensano, diventano netti e assumono contorni; nuove idee si aggiungono e pian piano si compone il tutto. Le difficoltà proprie dell'impostazione cominciano già con le prime pennellate: consistono in ciò che i dotti critici d'arte definiscono “l'esecuzione formale”. In questa fase bisogna essere molto attenti a dare con concentrazione e intelligenza la forma adeguata alle proprie sensazioni; senza far perdere l'immediatezza, bisogna eliminare le impurità ed evitare le prolissità, ma primariamente non perdere di vista né il quadro originario, né l'idea che ha portato all'espressione pittorica. In breve, bisogna mantenere vigili tutti i sensi e un lucido stato di coscienza: essere sul chi vive con tutto il proprio essere.

Fermo - sento gridare un assolutista dell'astratto - Lei introduce di nascosto elementi non artistici nell'atto creativo: protesto! Che cosa c'entra l'intenzione o il messaggio; questo è pittura di idee, ci si propone qualcosa che sta al di fuori della sensazione pura, la quale sgorga direttamente dall'inconscio: vale a dire un cosiddetto tema. Non ci si deve proporre di dire niente, di esprimere niente, di illustrare niente. Il puro atto creativo è cieco, si svolge inconsciamente e non risponde a nessuna richiesta né umana, né divina.

Piano - risponderei io a questo intervento. L'inconscio si manifesta solo attraverso la coscienza. Non siamo assolutamente nello stato di innocenza paradisiaca. Noi siamo consapevoli e in quanto consapevoli, abbiamo un'intenzione. Io, per esempio, ho l'intenzione di rappresentare l'uomo e con lui il cosmo nel quale vive e che è caduto insieme con lui, di rappresentarlo in tutta la sua contraddittorietà, in tutto il suo tormento, in tutta la sua elevazione. Dare delle riproduzioni delle immagini, ma trasformate attraverso il filtro dell'anima. Per quanto siano limitati i modesti mezzi della pittura, cerco di rendere visibile la condizione umana. Non ho né l'ambizione di brillare, con un ormai rancido “épatez le bourgeois”, davanti a un fittizio pubblico rivoluzionario, né il desiderio di rianimare con eccentricità strabiliante il pubblico dei palchi completamente intorpidito. Il mio interesse è unicamente il problema scottante per tutti: l'uomo del nostro tempo. Perciò gli esperimenti formali per me non sono fine a se stessi, ma solo il mezzo per arrivare ad un messaggio convincente. Lascio ai miei contemporanei che cercano come me una nuova interpretazione il giudizio su quanto io sia riuscito con i miei quadri.

Rudolf Schlichter, 1949

Il saggio fu pubblicato con il sottotitolo Pensieri, sensazioni e immagini - Su me stesso e i miei intenti, corredato dalla riproduzione del disegno a china "Apollo ritorna", sul Nürnberger Nachrichten, n. 154, 1949, pag. 21, nel settore Cultura e Intrattenimento, insieme ai contributi Desiderio del governo di Sua Maestà di Bertolt Brecht e Il canto del mondo di Jean Giono.

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