10 Dicembre 1999

Saiani

di Diego Saiani

Rivedendomi, si può pensare ad un mio ritorno, ad un mio passeggiare tra le vostre case senza meta, sempre che la gamba non faccia scherzi e sia disposta ad accompagnarmi.
Ma ho sentore che nemmeno fra le nostre case né fra i parenti stretti né nei miei sognati luoghi di partenza mi ci ritrovi e riesca a placarmi, ora che non so più mordere e ho le fitte dei denti persi.
Sarà uno dei tanti modi d’augurarsi d’esser solo, di domenica, con un pirlo di colore e di continuare in questo vizio, questo ricamo sotto il portico, per allontanarmi dal sole a picco, quando poi sento che voglio essere abbagliato gego sbanda tra il gelso e la fontana.
Non voglio abituarmi a portare occhiali né di protezione né di riposo. Per proteggere cosa? La pelle rosa e cenciosa del contorno delle ciglia?
Quest’aria che respiro - in questo Prato, che dentro di me da tempo ho già lasciato - mi fa perdere la distanza nell’ora del ritorno e mi rende così indifeso da chiamate e da richieste che esigono arretrati in valuta che non conosco.
Giorno accovacciato, è l’ora, non c’è di meglio per partire: vorrei essere leggero come neve, ma non cascare. Vorrei quello che desidero ancora: pera zuccherata cotta in forno e poco meno dell'ingiusto, nascosto così bene in questo verde e sordo Prato. Ma quanto mi resta in questo sentirmi solo e quanti soli vedrò calare verso Lucca? Ora che vorrei sedermi in questo angolo nella nebbia e dimenticarmi di parlare e che vorrei guardare, ora che non vedo più, nel cielo caduto in questo scialle, provando segni che nessuno vede. Essere uguale a te. Ecco quello che vorrei salvare, quella parte di me che è uguale a te, piccina mia, mio pensiero, mio tesoro.

Diego Saiani, dicembre 1999

Il testo è pubblicato in Saiani, catalogo della mostra, Galleria dell'Incisione, Brescia 2000

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