11 Febbraio 1995
di Paolo Levi
Quando mi trovo a colloquiare con me stesso, a volte, mi pongo il quesito, tutt’altro che astratto, se sia il caso, ancora, di rimanere fedele al mio vecchio sogno dell’arte.
Quale esso sia lo rivelerò subito.
L’oggetto d’arte non è un concetto tangibile, come si crede. È, in realtà, uno stato d’animo onirico che si fa lentamente immagine nell’anima dell’artista, e riflesso utopico in chi ne percepisce il messaggio.
La generazione a cui appartengo - quella illusa, che ha mosso i primi passi nell’immediato secondo dopoguerra - è cresciuta nel mito paradisiaco che - nella sua essenza - la nostra Musa sia costante dispensatrice di rivelazioni ed emozioni.
Ho compreso, comunque - se pur con vistoso ritardo - che la Musa non a tutti è usa a concedersi.
L’Arte in effetti, più viene tradita, più si mimetizza in un bosco ombroso.
Mi accade, a volte, di essere, io stesso, preso da Pan. Questo è il motivo per il quale abbandono il Vecchio sogno e mi risveglio altrove.
Se avessi chiuso, comunque, la mia mente alla coscienza attenta, non avrei incontrato sulla mia strada queste sommesse canzoni all’acquarello di Anna Lequio.
Sono pagine di una emozione racchiusa, che, a volte, si fa grido cromatico squillante, altre sussurro intinto in una trasparenza atonale.
La luce rivela un quadro nel quadro e un letto sfatto, ma non svela, in verità, cosa mai celi la grande ombra trasparente, nera, dall’espressività lirico-informale, ne II nudo di Daphne.
Naturalismo astratto o, ancora meglio, pudore nel trattenere l’attimo fuggente in Luci tra la siepe. Ancora una volta la finzione luminosa non accende, né rivela il respiro vitale della siepe oscura.
Sono pagine di diario, che ci pongono in un agio malinconico. In verità, abbiamo già varcato la soglia dell’Interno di memoria I. Abbiamo già vissuto per un attimo la luminosità magica, nella sua provvisorietà, di Interno di memoria II.
Sono le frequentazioni pittoriche, all’acquarello, di un’animo che veleggia nel passato, che riporta in superficie il tavolo, la poltrona, la lampada, la biblioteca. È il censimento di un intimismo che si aggrappa al dettaglio cromaticamente vibrante.
L’acquarello di Anna Lequio, con le sue trasparenze, le sue misture, i suoi spessori, apparentemente grevi, - come una dotta sottolineatura - lascia trasparire il non visibile.
Ogni lavoro, più che la Recherche di Proust, è l’Annunciazione con angeli invisibili, cantati da Rainer Maria Rilke.
Paolo Levi