Bresciaoggi, 19 dicembre 2015
di Giampietro Guiotto
Bandita la presenza umana
il manto nevoso fa risaltare le chiome degli alberi custodi solitari del boscoLa contemplazione della natura rientra nella necessità dell'animo umano di mantenere un vivo dialogo con essa, di percepirla come grembo cosmico che l'ha generato. Tale sentimento romantico spinge l'uomo all'immersione nella natura, che gli permette il manifestare il desiderio di solitudine, nel quale si attenua o si placa ogni umana tensione. Ed è proprio qui, in paesaggi innevati coperti da distese nebbiose, o in campi percorsi da filari rinsecchiti, congelati dal freddo invernale - fotografati da Pierre Pellegrini in questa mostra bresciana, composta da una ventina di immagini - , che si può ritrovare e assaporare il silenzio assoluto emesso dalla natura.
Silenzio, dunque, che interrompe il rumore della vita, ricercato nei paesaggi in cui le «tracce d'inverno» risuonano come ultime percezioni di
un ricordo lontano, che trattiene flebilmente commozione. La fotografia di Pellegrini sembra voler conservare proprio gli ultimi attimi della visione, interrompere il placido sonno della terra, protetto dal bianco della neve, avvertirne l'ultimo tepore, ora protetto sotto il manto cristallino, infrangere il meritato riposo, prima del suo risveglio primaverile.
Bandita ogni presenza umana, ogni cosa è ora coperta da un candido manto nevoso, che fa risaltare le chiome degli alberi, come fossero silhouette ingigantite di foglie secche, piantate nella neve. Una fioca luce le penetra, per farle sortire come esili, ma perfetti scheletri, custodi solitari di un bosco, che, perduto ogni riferimento naturalistico, assume la parvenza di un luogo abbandonato, magico e misterioso, come il riverbero della prima aurora o dell'ultima luna.Pierre Pellegrini: «Tracce d'inverno»; Brescia, Galleria dell’Incisione (via Bezzecca 4), fino al 10 gennaio 2016.
Giampietro Guiotto, Bresciaoggi, 19 dicembre 2015