29 Settembre 2009
di Valerio Terraroli
Il gruppo di acquerelli, disegni e incisioni, qui presentato dalla Galleria dell’Incisione, propone al pubblico la possibilità di rileggere e approfondire le qualità inventive e l’eccezionale talento creativo di Fausto Melotti: uno dei più grandi artisti del Novecento.
Più conosciuto come scultore e come straordinario ceramista, Melotti, proprio a ridosso della fine degli anni Sessanta, affronta il mondo della grafica dando vita, segnatamente dal 1969, ad una produzione variegata di incisioni, punte secche, acquetinte, litografie, acquerelli e disegni che lo ha visto attivo fino al 1986 a pochi giorni dalla scomparsa. La grafica risulta quindi una modalità espressiva che, senza soluzione di continuità, espande e libera l’universo immaginativo dell’artista, il quale partendo dalle sculture astratte degli anni Trenta fino ai cosiddetti Teatrini degli anni Cinquanta, percorre un itinerario di sintesi linguistica e di concentrazione del significato che lo inducono inevitabilmente verso l’impostazione bidimensionale del segno, in un equilibrio meditato tra pieno e vuoto, tra linea e punto, tra luce ed ombra.
Una data discriminante del suo percorso è identificabile nel 1935, anno nel quale gli viene organizzata una mostra personale presso la Galleria del Milione che da conto delle scelte astratte di Melotti nell’ambito della produzione plastica: ebbene proprio a partire da quella fase è possibile cogliere l’avvio di una modalità poliedrica che, tenendo ben salde le redini di un’operatività concettuale e rigorosa, è in grado di esibire proposte fantastiche, a tratti liriche, che frequentemente recuperano le poetiche di matrice surrealista innestando iconografie totemiche in atmosfere metafisiche. E, in effetti, va anche detto (basti guardare alle opere geometriche del biennio 1934-1935) che la grammatica astratta per Melotti non è mai una scelta ortodossa e vincolante, men che meno ideologica, bensì un atteggiamento mentale se non addirittura uno stato d’animo, capace di mediare senza strappi, e senza apparenti difficoltà, tra forme sensuali e narrative e organizzazioni compositive rigorose e icastiche.
Gli anni Sessanta rappresentano per Melotti una ricodificazione del proprio linguaggio sia attraverso la mostra del 1967, nella quale presenta una selezione di opere in ottone e acciaio lucidato (i Contrappunti, i Bassorilievi), sia attraverso il testo teorico, pubblicato nel 1962 in “Domus”, nel quale difende la coerenza del proprio dettato astratto all’interno di un inesauribile desiderio di sperimentazione. I legami d’amicizia e del medesimo sentire con Gio Ponti, avviatosi negli anni Trenta e fattosi cogente negli anni Cinquanta, ma anche con Pollini e Ghiringhelli, hanno consolidato in Melotti il profondo convincimento del valore connettivo tra progetto ed esecuzione, della permeabilità tra creazione artistica e modulo architettonico, del valore della serialità sostenuto dalla coerenza e dall’originalità dell’invenzione, come insegnava il Bauhaus. Melotti sposa l’idea di un’astrazione cinetica, per certi versi antispiritualista e antinormativa, su modello di Calder, Duchamp, Moholy-Nagy e Gabo, a sua volta confortata dal grande interesse per la cultura giapponese, in particolare per la grafica estremo orientale e il valore semantico del vuoto, della leggerezza, del non descritto, del silenzio parlante, a cui rimandano le elaborazioni grafiche e i libri d’artista prodotti a partire dal fatidico 1969. in collaborazione con lo stampatore Franco Sciardelli, il quale ricorda l’atteggiamento di curiosità, in fondo giocoso, che l’artista ebbe sempre nei confronti di questa sua particolare produzione che, solo più avanti, venne articolandosi in cartelle e in serie.
Gli acquarelli presentati, senza data, ma collocabili nei pieni anni Settanta, hanno come tema il paesaggio (pur non esibendo mai un titolo specifico), il quale, filtrato attraverso la campitura liquida del colore, talvolta pare rispondere ad un’esigenza descrittiva, talaltra risulta più squisitamente immateriale e onirico: in ogni caso questi “pensieri colorati” sono evidentemente frutto di un’urgenza creativa che fa del tratto sincopato e della campitura informe il proprio mezzo espressivo. Certamente legato alle poetiche, ai temi e al modellato degli anni Trenta e Quaranta, risulta invece il piccolo disegno con un gruppo di armati (probabile bozzetto per un monumento legato ad un concorso bandito dal Comune di Milano) nel quale le affinità con le contemporanee invenzioni di Arturo Martini emergono del tutto evidenti. D’altro canto alla monumentalità figurativa di Martini e Sironi, come del resto alle quinte metafisiche e oniriche di De Chirico, Melotti guarda costantemente, ma estraendone il senso più profondo e più straniante nel liberare le forme dalla figurazione, dai vincoli spaziali, dalla retorica narrativa e facendo vibrare i segni astratti in spazi vuoti e ritmici. Il colore, che non perde mai il proprio ruolo contrappuntistico rispetto ai tratti grafici, sottolinea, armonizza, rende sinfonico l’insieme delle forme ridotte a segno, come in La canzone del polistirene, l’unica acquaforte che accompagna il testo di Raymond Queneau, o come nei piani traforati della serie Estate, del 1977, sui quali le varianti cromatiche scandiscono un percorso visivo sottilmente lirico poiché il paesaggio, qui, si è fatto totalmente paesaggio della mente e del sogno.
Alle lastre incisorie Melotti affida anche lo straordinario repertorio dei suoi Teatrini, e viceversa da alcune incisioni ricava spunti per composizioni plastiche sempre nel corso degli anni Settanta, dove al tratto lineare corrisponde la sottile lamierina d’ottone, al ghirigoro, il filo di ferro o i frammenti di tessuto, all’esile figura umana, quasi totem combusto, il frammento metallico. Allo stesso tempo i miti classici, da Pasiphae e il Minotauro a Cerere, da Orfeo ad Ulisse, si ripresentano con forza evocativa nella produzione grafica, in particolare il tema della nave di Ulisse, più estensivamente il tema del nostos, del ritorno, che si condensa nelle vele spiegate in acquaforte colorata per il volume, stampato da Sciardelli nel 1986, delle poesie di Yeats e Montale o per l’acquaforte colorata con la nave imprigionata tra alte mura e anelante un vento di libertà: un gioco di incastri tra una visione surrealista “infantile” e un teatro metafisico. La qualità e la freschezza di queste invenzioni, pur a distanza di più di un trentennio, confermano ancora una volta non solo il poliedrico estro creativo di Fausto Melotti, ma ci permettono di scorgere un’intelligenza creativa tra le più lucide, mature e visionarie del Novecento.
Valerio Terraroli, settembre 2009
Il testo è pubblicato in Fausto Melotti, carte uniche e rare, Galleria dell’Incisione, catalogo della mostra, Brescia 2009