18 Ottobre 1999
di Valerio Terraroli
Il piccolo armadillo, grazioso nel suo sollevarsi con leggerezza sulle zampine posteriori a fronte della coriacea corazza che lo riveste, tenendo nella bocca una lettera misteriosa, timidamente, come un amante trepidante, si protende con una qualche audacia verso una donna, nuda eppur guantata e nascosta dietro l’elegante ventaglio di piume di struzzo: ella ride? si schernisce lusingata della profferta amorosa? teme l’invadenza mostruosa nella propria quotidianità? Non è dato sapersi, anzi non è importante comprenderlo, ma è curioso e appagante lasciarsi trasportare da questa invenzione grafica in un mondo di rarefatta eleganza e di peculiare ironia: il mondo fantastico e algido di Richard Müller, maestro da riscoprire e da comprendere nel grande a variegato alveo del simbolismo mitteleuropeo.
Artista spigoloso, ma fecondo d’invenzioni, straordinario incisore e disegnatore, maestro rigorosissimo e sprezzante, presso l’Accademia del Belle Arti di Dresda, di artisti del calibro di George Grosz, ferocemente ironico, ma fedele seguace di un realismo disegnativo, precorritore di atmosfere da realismo magico e da nuova oggettività, Richard Müller si incastona ad un livello di altissima qualità in quel mondo rarefatto e insieme così viscerale che vede come protagonisti Max Klinger, Franz von Stuck, Hans Thoma, Fernand Khnopff, Félicien Rops, Jan Toorop.
Nato a Tschirnitz, in Boemia, il 28 luglio 1874, in una famiglia povera e numerosa, Richard Müller ha conservato il ricordo della sua più tenera infanzia attraverso disegni e incisioni che ripropongono i paesaggi invernali e autunnali della valle dell’Eger (come in un gruppo di affascinanti litografie datate tra il 1896 e il 1897) e la dignità silenziosa del lavoro nei campi e nelle fabbriche. In Manner bein Wollgraszupfen, del 1895, l’artista ci restituisce l’interno disadorno di un filatoio di fibre vegetali (probabilmente il medesimo nel quale lavorava il padre) descritto con una tecnica materica, tipicamente postimpressionista, e dal taglio esplicitamente fotografico, vicinissimi agli esiti della contemporanea pittura dell’impegno sociale dei divisionisti italiani e delle consimili correnti tedesche e francesi.
Dopo aver seguito un percorso di studi a Pirnstein, durante i quali già emerge il talento per la creatività artistica esercitato in modo autodidatta e ispirato specialmente a riviste illustrate contemporanee, come “Gartenlaube”, di impostazione verista e tardoromantica, all’età di quattordici anni Müller diviene allievo della scuola di pittura della manifattura di porcellana di Meissen: luogo nel quale il talento naturale si irrobustisce in una rigorosa organizzazione compositiva e in una sicurezza di tratto che a mano a mano si raffinano con l’insegnamento di Leonard Gey e di Leon Poble, ambedue artisti di area realista di alta manualità. Congedatosi dagli studi accademici a Dresda nel 1894, Richard Müller entra in contatto con la galleria di Ernst Arnold, nella medesima città, nella quale si era organizzato un piccolo gruppo di giovani artisti ispirati alla secessione monacense , i quali danno vita ad otto fascicoli nei quali compaiono sue interessanti litografie, così come su alcuni numeri della rivista “Pan” (dal 1895 al 1900). L’ispirazione a motivi e a modalità della tradizione realista, presenti anche nella cosiddetta scuola di Gappeln, località vicino a Dresda, si arricchisce degli echi del tardoimpressionismo proposti in Accademia dagli insegnamenti di Gotthard Knebels e i primi cambiamenti si notano nella serie di disegni a carboncino e biacca dedicati da Müller allo studio dal vero di animali esotici ospitati nel giardino zoologico di Dresda: struzzi, dromedari, elefanti, rinoceronti, fenicotteri, ma anche galline, e marabu, animali inquietanti che entreranno con prepotenza nel suo immaginario successivo. Gli studi sui dipinti olandesi, fiamminghi e tedeschi conservati nella Gemaldegalerie allo Zwigler, la conoscenza della tradizione incisoria tedesca, specialmente Dürer, e l’incontro con la grafica di Max Klinger, spingono il giovane artista verso la grafica e le diverse applicazioni tecniche: dalla litografia all’acquaforte alla puntasecca.
Il gusto Jugendstil e l’eleganza asciutta della grafica secessionista viennese innervano la prima grande acquaforte intitolata Eva e Adamo, del 1897, della quale si conoscono stadi diversi di composizione ed una resa ad olio su tela di grandi dimensioni ma di minore qualità espressiva, mentre nell’incisione l’equilibrio ritmico tra verismo dei dettagli e onirica invenzione rivela già un maestro maturo e di notevole abilità tecnica. L’incontro a Francoforte con Hans Thoma, pittore notissimo di matrice simbolista e amatissimo dallo storico dell’arte Henry Thode, fortifica la linea di ricerca di Richard Müller che vira in modo più deciso verso tematiche ispirate ad un mondo classico immerso in una natura contemporanea e nordica sul modello di Arnold Böcklin e di Franz von Stuck.. Arciere I, acquaforte del 1897, e Arciere III, del 1919 esemplificano l’evolversi da una visione serena di natura arcaica abbinata ad un corpo nudo dai forti tratti realistici verso un’immagine ispirata alla sfera onirica, resa con accenti espressionisti nello scontro feroce tra uomo e serpente.
E Böcklin si riconosce anche in una composizione che unisce il mondo di superficie, con trasparenti libellule in volo, e il mondo acquatico profondo con pesci, coralli e aragosta su un fondale di rena, Fische mit Hummer auf der Meeresgrund (1896), e Klinger in Madchen am Meer mit Kranichen (1896): una donna, in primo piano sul bordo del mare, si volge malinconica a guardare il volo stridente delle gru.
L’educazione all’arte passa, come tradizione nella cultura tedesca, anche attraverso un primo viaggio in Italia: nel 1897-1898 Müller si reca a Basilea e poi a Firenze, quindi a Roma e a Napoli (di grande fascino, e ancora una volta ispirandosi ad Arnold Böcklin per la sintesi tra paesaggio mediterraneo e atmosfere nordiche, i Faraglioni incisi nel 1897) per poi tornare a Dresda e presentare nel 1899, all’Esposizione Tedesca in quella città, le acquaforti citate e il dipinto Suora misericordiosa, acquistato dallo stato e collocato nella Galleria d’arte moderna della città: un esercizio stilistico eccellente per maestria tecnica e intelligenza compositiva “alla maniera di” Ingres.
Presente alla terza e alla quinta esposizione della Secessione viennese, Richard Müller a partire dal 1900 diviene insegnante all’Accademia di Belle Arti di Dresda, allarga i propri orizzonti e raggiunge una posizione sociale di tutto rispetto sposandosi, sempre nel 1900, con Lilian Sanderson, ricca e nota cantante. Nel decennio successivo, coinvolto dall’impegno didattico e spinto dalla volontà di misurarsi con sfide nuove sia in campo compositivo, anche monumentale, sia in ambito tecnico, l’artista abbandona la pratica incisoria per dedicarsi con impeto alla pittura. A questo periodo appartengono opere eterogenee per dettato e per risultati, ma di grande interesse al fine di comprendere la successiva trasformazione della sintassi mulleriana. Il visionario Monaco predicatore (collezione privata) del 1907, il lenticolare ritratto della Vecchia contadina (Praga, Galleria d’arte moderna) e di Un religioso (Lipsia, Galleria d’arte moderna),tra il 1905 e il 1907, sono prefigurazioni degli impietosi ritratti di Otto Dix, ma soprattutto Mann mit Pelzmutze (Uomo col berretto di pelliccia) del 1901, anch’esso a Praga. Si tratta con ogni probabilità del ritratto del padre nello studio del pittore, reso con un’adesione al vero così ricercata e minuziosa da rendere straniante l’intero ambiente e l’espressione silenziosa del ritrattato circondata da oggetti della quotidianità che assumono valenze simboliche: il pendolo, le chiavi appese ad un chiodo, gli occhiali abbandonati, l’animale impagliato, le pigne, le monetine, a ricostruire una Vanitas in chiave moderna. Tra le prove pittoriche di Müller si segnalano, nel periodo 1906-1908, le inquietanti visioni del Cristo e le rivisitazioni di temi biblici e mitologici.
I due Christus (Stati Uniti, collezione privata), del 1907, si presentano come folgoranti visioni del martirio e del seppellimento del Cristo nelle quali il cadavere nella sua assoluta evidenza di reperto anatomico si abbina ad oggetti, anch’essi illustrati iperrealisticamente, dal significato allegorico esplicito: il calice sanguinante e ornato stelle, i gigli bianchi, gli strumenti della passione, scheletri, un intimorito San Pietro (e quanto Caravaggio qui è intelligentemente impiegato) che pone ai piedi della croce un modellino di piazza san Pietro; oppure un catafalco elegante come un sofà orientale, la spugna con l’aceto abbinata ai chiodi e allo scudiscio con la corona di spine che assumono la cristallina leggiadria delle nature morte olandesi del Seicento e, con il Cristo morto irrigidito e contratto sul cataletto, sono un omaggio al prototipo di Hans Holbein. E le citazioni colte non mancano (da Caravaggio ad Artemisia Gentileschi) anche nel monumentale Davide e Golia (ubicazione ignota) dove a fronte del villoso e titanico cadavere di Golia, dalla cui testa mozzata sprizzano ancora vividi sangue e disperazione, Müller pone in contrappunto un Davide fanciullo, donatelliano e insieme modernissimo, ambiguamente sorridente e dalle carni eburnee lordate da rivoli di sangue. Così Danae (Freital, Civica Galleria d’arte), del 1908, nella combinazione dei nudi statuari di Danae nell’alcova e di un giovanissimo Zeus, affocato nella pioggia più sanguigna che non aurea, si propone come un assemblaggio coltissimo dei modelli di Correggio e Tiziano guardati attraverso Bougherau, von Stuck e la rarefatta grammatica di Klinger: modelli ripresi nel non finito Giorno, disegno del 1910 (ubicazione sconosciuta), nel quale un Ermes prassitelico risveglia dal sonno (il gallo tenuto in braccio è di un’eleganza tutta giapponese) una coppia desunta appunto da Corinth, da von Maree e da Thoma.
Intorno al 1902-1903 sono databili dei disegni dedicati al tema dell’incubo notturno, ispirati con ogni probabilità alle incisioni di Goya e di Odilon Redon sia per la resa compositiva sia per l’evidente riferimento autobiografico: un uomo, l’artista, sdraiato nel proprio letto è schiacciato da mani gigantesche e minacciato da un grande scarafaggio, oppure un altrettanto titanico pipistrello pende dal soffitto come materializzatosi dal disegno appoggiato alla scrivania. Il mondo onirico e inquietante inizia a spalancare le proprie porte e a richiamare l’interesse di Müller. Questo duplice registro, sogno e realtà, riprende vigore in ambito grafico a partire dal 1908, anno nel quale è datata la dureriana Testa di vecchio, e nel 1910 con i deliziosi Topo con noce e Topo con spiga di avena o con l’inquietante gambero-Gulliver di Dopo la tempesta e gli ironici Meraviglia dell’ammaestramento (1911), con un clown ensoriano che esorta un pesce a muoversi su un filo sospeso, e Neckerei (Il punzecchiamento o Canzonatura), del 1912, dove una donna nuda sdraiata cerca di trascinare a sé, per le antenne, un gambero recalcitrante.
Il continuo esercizio sullo studio del nudo, nel quale eccelleva, e sui maestri antichi (nel 1912 inaugura una mostra con copie di opere della Gemaldegalerie di Dresda) inducono Richard Müller a rivedere anche temi ed iconografie tipiche della tradizione culturale tedesca come la Danza Macabra riconoscibile nella furia crudele della Morte sul corpo nudo di un modello in Todeskampf (Lotta della morte o Agonia) del 1913 e la più tarda Morte incendiaria, del 1916: un cadavere rinsecchito con stivali e abiti moderni, campeggiante su una città, che brandendo una fiaccola dà fuoco agli edifici. A questo tema si collega anche lo straordinario disegno Schicksal (Il fato), ispirato ad una nota incisione di Holbein, dove Müller riveste la Morte di una preziosa armatura cinquecentesca in atto di abbracciare una nuda fanciulla (la Fortuna poiché appoggia un piede su una sfera di cristallo) mentre un nudo maschile si copre il volto e si invola.
Lo scoppio del primo conflitto mondiale lo vede coinvolto come disegnatore a Lipsia e a questa esperienza risalgono una serie di acqueforti dedicate ai piccoli animali domestici (Il mio ragazzo cane; i Topolini) o a composizioni con le maschere. Al termine della guerra e al rientro a Dresda l’artista si dedica specialmente alla ritrattistica e alle nature morte e riprende l’insegnamento presso l’Accademia, dove arriva anche Oskar Kokoschka e contemporaneamente alla fondazione del “Gruppo 1919” detto la “Secessione di Dresda”, ma il vento delle Avanguardie e specie dell’Espressionismo della Brücke non scalfiscono la posizione via via sempre più rigidamente accademica di Richard Müller che lo porterà alla carica di direttore dell’istituto nel 1924.
La sua sostanziale estraneità rispetto alle sempre più evidenti sollecitazioni ad una radicale riforma dell’arte figurativa trova un riscontro nella serie di acquaforti realizzate tra il 1918 e il 1920 dedicate alla Grande Bestia, un gigantesco marabu aureolato e signore del mondo, alle donne con animali (armadilli, formichieri, marabu, tori) e alle impietose allegorie come Encefalocranioscopia, Gloria, La parrucca rubata, Il più grande e il più piccolo mammifero. Dal 1920 la firma apposta alle proprie creazioni grafiche si trasforma nella sigla “RM” costruita a logo esemplato sul monogramma apposto da Albrecht Dürer.
Il 1921 è l’anno della pubblicazione dell’importante monografia sul maestro, curata da Franz Hermann Meissner, e di Opus I con dodici incisioni edita dalla casa editrice Stifbold di Berlino, non però seguita dalla preannunciata Opus II.
Gli anni Venti, genericamente caratterizzanti dal cosiddetto “ritorno all’ordine” vengono vissuti da Müller in una sostanziale intolleranza nei confronti di qualsiasi apertura alle esperienze d’avanguardia, ma il suo magistero rappresenta un apporto positivo per molti artisti : non solo per allievi diretti, come Grosz, che lo ricorda nella propria autobiografia, ma anche per Otto Dix, divenuto nel 1926 professore all’Accademia di Dresda, e per il surrealista tedesco Richard Oelze. E questa chiusura coincide con un nuovo abbandono della grafica a favore di un ritorno alla pittura monumentale e magniloquente nella quale l’eccellenza esecutiva, le smaltate superfici cromatiche, le complesse quanto cerebrali composizioni sono un inno ad un realismo accademico di grande forbitezza formale, ma estenuato. Sono i dipinti dedicati al proprio ambiente quotidiano: dallo studio con il lucernario innevato e i passeri infreddoliti (Blick vom Atlier, del 1929; Dresda, Galleria d’arte moderna) alla casa con gli amati cagnolini (Meine Hunde e Katze del 1925, collezioni private), a nature morte o scene di vita boschiva all’insegna di una lenticolare descrittività. Ma ci sono anche opere che risentono della situazione contemporanea e dei segnali provenienti dalla Nuova Oggettività, ma anche dal gusto déco di ispirazione francese, come Sonebad (Bagno di sole) del 1925 (Stati Uniti, collezione privata) dal taglio e dalla tavolozza cromatica assolutamente al passo coi tempi oppure una rivisitazione di una grecità idealizzata e aggiornata alla incombente cultura della razza con Die Laufer (Il corridore), del 1927 (Stati Uniti, collezione privata): un nudo atletico che prelude ai fasti di Olympia di Leni Refisenthal.
Il lucore affocato della tavolozza si fa più risentito agli esordi degli anni Trenta sia nei soggetti che ripescano arcadici temi agresti o di vita popolare come in Vecchia fucina, del 1932 (collezione privata) e ancora di più in Nella stalla (Stati Uniti, collezione privata), oppure nell’utilizzo aulico di temi mitologici come nella teatrale Circe , del 1933, dove un nudo femminile ancora una volta è abbinato ad animali dalla resa iperrealistica (Stati Uniti, collezione privata) e, soprattutto, in Prometheus (Stati Uniti, collezione privata), dove la tragedia universale del titano incatenato si concentra nel livore del corpo nudo ancorato ai ghiacciai eterni e nell’orribile avvoltoio che affonda gli artigli nel capo sanguinante della vittima.
L’esplicito distacco dalla realtà contingente, la crisi postbellica tedesca e la fine dell’esperienza di Weimar, spingono Müller nelle braccia del nazionalsocialismo nel quale scorge la possibilità di un ordine nuovo, forte, utile rifondare l’istituzione accademica e il mondo dell’arte. Il suo coinvolgimento si fa pesante quando nel 1933 diviene rettore dell’Accademia e predispone questionari per gli allievi mirati alla purezza della razza e alla fedeltà al regime. E’ anche l’anno nel quale Dresda dedica un’esposizione all’”arte decadente” e Müller redige un violento pamphlet contro la produzione artistica successiva al 1905 e ispirata al movimento Die Brücke. Le compromissioni con il regime non si attenuano nemmeno dopo il 1934-1935, quando viene rimosso dalle cariche di responsabilità all’Accademia poiché il suo lavoro viene letto come licenzioso e inadatto alla nuova Germania, dato che nel 1937 predispone una serie di disegni dedicati ai luoghi deputati di Adolf Hitler e del nazionalsocialismo.
Lo scoppio della guerra e la tragedia nella quale vengono trascinati la Germania e il mondo intero lo vedono ai margini, silenzioso, vittima delle proprie scelte, incapace testimone degli avvenimenti. Poco o nulla è dato sapere della sua attività durante il conflitto e anche dopo il 1945 ( esce assolto dal processo per collaborazionismo e il 9 aprile del 1947 muore la moglie ), ma Die rote Flut (Il flusso rosso) , un olio del 1945 (collezione privata) testimonia del riemergere, pur in un lessico obsoleto, della forza visionaria degli Incubi: un bimbo terrorizzato nel proprio letto vede materializzarsi nell’aria teste ghignanti e volti ectoplasmatici nella miglior tradizione simbolista.
Richard Müller, sostanzialmente dimenticato, muore a Dresda il 7 maggio 1954.
Ora la prospettiva storica ed una lettura più documentata e critica dei fenomeni e delle personalità che hanno caratterizzato il simbolismo europeo e la cultura artistica di matrice figurativa tra le due guerre, permettono un più equilibrato giudizio sulle opere di maestri nei quali siano riconoscibili ad evidentiam la qualità del prodotto artistico, le novità creative e l’intelligenza delle invenzioni. Müller, da questa prospettiva, è un grande, un eccezionale incisore, uno straordinario pittore “classico”, ma è anche, e questo è il suo aspetto più affascinante e coinvolgente, un ironico blasfemo, un icastico censore di false decenze e sciocchi pudori, un cinico indagatore della realtà che nelle sue mani si trasforma con leggerezza in sogno, e poi in incubo e infine in un gioco delle parti, insieme crudele e leggero: il timido, impacciato, armadillo nella battaglia d’amore è insieme vincitore e vinto.
Valerio Terraroli